L’escalation era attesa. Da due giorni l’esercito siriano ha incrementato la presenza intorno a Ghouta est, sobborgo di Damasco roccaforte delle opposizioni islamiste e dallo scorso anno una delle «de-escalation zone» previste dall’accordo di Astana tra Russia, Iran e Turchia.

Sono aumentati i raid aerei russi, una trentina secondo i residenti nelle ultime 48 ore. Ieri la strage: secondo fonti locali, sono almeno 30 i civili uccisi da bombardamenti di Mosca. Che smentisce: colpite postazioni islamiste.

Di certo c’è che la guerra, iniziata sette anni fa, non è finita. A bassa intensità, la definiscono in molti dopo la ripresa di Aleppo e gli arretramenti dell’Isis, ma sempre e comunque presente: le formazioni islamiste, ormai le sole opposizioni rimaste, sono ammassate a Idlib, Ghouta est e a sud, al confine con Israele. E i combattimenti, sebbene molto più sporadici tanto da permettere il rientro dei primi profughi, non cessano.

A Ghouta est, domenica, i salafiti di Ahrar al-Sham hanno rafforzato la presenza intorno alla base di Harasta e da lì lanciato colpi di mortaio verso zone residenziali. Il governo risponde preparandosi ad un’ampia controffensiva sul sobborgo di 400mila persone ridotte alla fame da un assedio lungo ormai quattro anni.

A dicembre le organizzazioni umanitarie hanno avviato l’evacuazione di malati e feriti, ma a rilento a causa di scontri e autorizzazioni a singhiozzo rilasciate da Damasco.

Stessa tensione a Idlib dove i raid si sono intensificati nell’ultimo mese, a coprire l’avanzata dell’esercito. Sarebbero 50 i morti nella campagna governativa, 60mila gli sfollati. I target del fronte pro-Assad sono la ripresa della parte sud della provincia e della strada che collega Damasco ad Aleppo e i gruppi islamisti qui ammassati dai vari accordi di evacuazione siglati nel corso del 2017.

Un «bubbone» jihadista con a capo la qaedista ex al-Nusra che prima o poi era destinato a esplodere. Sia sul terreno che al tavolo del negoziato: le milizie più forti, Ahrar al-Sham e Jaysh al-Islam, ma anche i «moderati» dell’Esercito Libero non parteciperanno alla conferenza di Sochi del 29 e 30 gennaio.

Promossa dal presidente russo Putin e volta alla creazione di un «congresso nazionale» che metta insieme governo, opposizioni e società civile, nell’idea di Mosca dovrebbe condurre ad un esecutivo di transizione e nuove elezioni. Le opposizioni armate hanno detto no a fine dicembre e ieri è giunto il rifiuto di 120 gruppi della società civile, raccolti sotto il nome di Working Group for Syria.