«Dell’invitto Monarca / questa è l’estrema / irrevocabil legge: / oracolo del regno, / Alessandro parlò. / Regni il più degno». Così, ne Le due regine rivali di Aurelio Aureli (Venezia 1708), Cassandro, principe de’ Battriani, imposta o risolve il problema della successione del re. La morte improvvisa di Alessandro Magno in Babilonia nel 323 a.C. è tra gli eventi più notevoli della storia greca: per il personaggio coinvolto, per le conseguenze seguite, per la risonanza avuta nella tradizione, classica e non. Ne derivò infatti un quarantennio di instabilità, di lotte e guerre, dal quale emerse finalmente l’assetto del mondo ellenistico, destinato a reggere, entro una sorta di balance of powers, fino al dirompente intervento di Roma. Al momento drammatico del trapasso, tutto era in discussione: le cause della morte di Alessandro, le disposizioni finali (se pure vi erano), i criteri della successione, e più in generale l’assetto dell’impero ovvero, come presto si vide, degli ‘stati’ destinati a succedere all’effimera compagine greco-macedone-persiano creata dal defunto re.

Alle prese con quella congiuntura memorabile, antichi e moderni hanno cercato di dipanare le fila di una tradizione complessa e, quel che più conta, precocemente alterata da molti elementi diversi. I contendenti ebbero interesse a orientare il racconto sulla morte del re in modo favorevole al proprio progetto politico, unitario o separatista che fosse. I moderni, in caccia del «vero Alessandro», hanno raggiunto risultati importanti, ma la puntigliosa analisi storiografica ha talora fatto smarrire la visione complessiva degli eventi. Di qui l’interesse per quanto scrive Omar Coloru in Il regno del piú forte La lunga contesa per l’impero di Alessandro Magno (IV-III sec. a.C.) (Salerno Editrice, pp. 150, € 16,00). Il libro non analizza i meandri delle fonti, donde sarebbe impossibile uscire senza lunghe trattazioni, ma cerca in sintesi di dare un senso, se non un ordine, a un turbinio di vicende particolari. Si individua la linea di forza nel tema del «potere», come in un case-study di scienza politica. Illuminano la via alcuni paralleli da global history e soprattutto le riflessioni dal Principe sulle «difficoltà le quali si hanno a tenere uno stato di nuovo acquistato»: l’unica dei successori di Alessandro, di fatto, fu «quella che infra lor medesimi, per ambizione propria, nacque». I contendenti sono così studiati non secondo le loro finalità (reali o dichiarate) ma secondo l’efficacia delle loro azioni.

Il titolo rinvia alla suggestiva ma improbabile notizia, per cui Alessandro morente avrebbe dichiarato di affidare il proprio impero al migliore, «al più forte». Queste ultime parole famose sembrano fabbricate di proposito per alimentare la feroce contesa a eliminazione tra gli interessati (infatti, in altre versioni, il re avrebbe fatto un nome), e avviano però la riflessione. Il libro indaga i «deboli»: guardando forse, alla Santo Mazzarino, verso il «destino degli uomini vinti»? Si ripensa così la precaria esistenza degli eredi «legittimi», Alessandro e Filippo (e Eracle), cinicamente e precocemente eliminati nell’aspra contesa tra i generali. Come nei drammi dell’epoca barocca, che trovò in queste vicende frequente ispirazione, s’incontrano molti attori, innalzati o abbattuti da drammatici rivolgimenti di scelte e di sorte. I moventi, invece, attribuiti dalla tradizione ai generali, che si contesero il potere in nome della monarchia macedone o desiderosi di sostituirsi a essa, appaiono spesso esito di costrutti ideologici, o di forzature della tradizione: le stesse che hanno finito per sottovalutare figure interessanti come Eumene di Cardia, e per emarginare le donne, da Olimpiade, madre di Alessandro, alle principesse iraniche. Mancò a tutte queste figure un grande storico, capace di dipingere con efficacia tacitiana ruoli e dinamiche. Per alcuni di questi «deboli» lo svantaggio non fu sempre e solo un limite: così come non vi fu una stabile condizione di forza per i loro avversari: non di qualità oggettive si trattava, ma di rapporti di forze, come tali mutevoli.

Da questo fondo spesso cupo (e non sempre attendibile nei particolari tràditi), Coloru fa emergere i frequenti momenti di violenza, tra avvelenamenti, morti in guerra, agguati e eliminazioni. Tale prassi deteriore fu un colore tipico del tempo: lo stesso Alessandro, altrimenti ritratto come giovane e sognante conquistatore, è apparso a pensatori antichi come ad autorevoli studiosi anglosassoni un «crudele macellaio» vòlto all’oppressione dei nativi o all’assassinio di chi gli mancasse di rispetto. L’affermazione della regalità nell’ellenismo avveniva non solo in forza di carismi personali e vittorie militari, ma anche (o soprattutto) in seguito a domestica violenza. Secondo Plutarco, tutte le dinastie, con poche possibili eccezioni, furono marcate dall’assassinio di mogli, figli e fratelli, quasi che lo spargimento di sangue fosse premessa necessaria alla sicurezza dei sovrani. Il nostro presente sta di nuovo chiarendo in quale misura la violenza sia connaturata ai poteri autocratici detenuti da individui sospettosi. Forse perché consapevole di quanto sarebbe avvenuto dopo di sé, l’Alessandro morente immaginato da Laurent Gaudé in Le tigre bleu de l’Euphrate (2002) non designa, neppure ambiguamente, un erede, ma chiede solo «silenzio». Qualunque cosa abbia detto in realtà il re (seppure poteva parlare, il che è dubbio), di certo non fu ascoltato…