Sei mesi fa la maggioranza degli elettori del Kirghizistan ha votato a favore di un referendum costituzionale che assegna maggiori poteri al premier e definisce il matrimonio un’unione esclusiva «tra un uomo e una donna». Da più di un anno, poi, nel paese è in discussione una legge che prevede multe e carcere per chiunque si permetta di parlare in maniera positiva di omosessualità. Per la sua legge anti-Lgbti l’ex repubblica sovietica incastrata tra il Kazakistan e la Cina ha preso a modello l’analogo provvedimento russo, mettendoci però del suo e riuscendo così a renderlo ancora più repressivo.
Se in Kirghizistan è perfino vietato parlare di omosessualità, figurarsi come può vivere chi omosessuale lo è. Almaz e il suo fidanzato Maksat non hanno dovuto aspettare i nuovi provvedimenti voluti dal regime per scoprirlo. «Quando camminavo per strada la gente mi gridava ’gomik’ oppure ’pidaraz’, insulti che significano frocio e pederasta ma che in russo suonano in maniera ancora più brutta», racconta Almaz, 30 anni e una laurea in medicina conseguita a Biskek, la capitale del suo Paese. Dopo un tirocinio presso un ospedale di Mosca – mai terminato per l’ambiente poco friendly che in Russia circonda gli omosessuali – Almaz e Maksat decidono che è arrivato il momento di fuggire. Oggi vivono in Emilia Romagna dove hanno presentato richiesta di asilo e dove da 15 mesi attendono di essere convocati dalla commissione che dovrà decidere sul loro futuro.
Dal 2015, da quando la crisi dei migranti ha investito l’Europa, quello dei richiedenti asilo Lgbti (Lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali) è un fenomeno in continua crescita, al punto che le associazioni e gli organismi internazionali che si occupano della loro accoglienza hanno dovuto rivedere e aggiornare le proprie metodologie di lavoro adeguandole alle nuove esigenze. «Nel 2012, quando abbiamo avviato la nostra associazione, trattavamo 4-5 casi di migranti e richiedenti asilo Lgbti all’anno. Oggi siamo a più di 90. Quasi tutti, il 98%, riguardano uomini gay o Msm (uomini che hanno rapporti sessuali con uomini senza definire la propria sessualità), più 9 casi di persone transessuali», spiega Jonathan Mastellari segretario di MigraBo Lgbti, associazione nata a Bologna proprio per rispondere alle necessità dettate dai migranti di diverso orientamento sessuale.
Nell’Unione europea sono molte le direttive e le risoluzioni che riconoscono le persecuzioni subite a causa dell’orientamento sessuale e di genere come motivo valido per il riconoscimento della protezione internazionale. È previsto sia dalla Direttiva Qualifiche che in un articolo del Trattato sul funzionamento dell’Ue, ma anche dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Il che, però, non significa che non esistano problemi. Quando arrivano in Europa le persone Lgbti si sono spesso lasciate alle spalle paesi di origine in cui venivano perseguite proprio a causa del loro identità sessuale. Sono 78, infatti, gli Stati in cui l’omosessualità viene ancora punita con la prigione e 5 quelli in cui per lo stesso motivo si viene condannati a morte. Chi fugge, poi, molte volte è costretto a nascondere la propria sessualità anche ai compagni di viaggio, non sentendosi al sicuro neanche nel paese di arrivo. Tutte condizioni che fanno dei rifugiati Lgbti «uno dei gruppi più vulnerabili presenti oggi in Europa», come denunciato a maggio da Epsilon, un progetto dell’Unione europea che coinvolge paesi del Mediterraneo e del Nord Europa nella ricerca di politiche comuni per l’accoglienza delle persone Lgbti.
Una condizione di «clandestinità» che rende difficile anche solo quantificare il fenomeno, vista anche l’assenza di statistiche ufficiali. Per quanto approssimativa, un’idea la fornisce nella sua relazione pubblicata a marzo l’Agenzia europea per i diritti fondamentali che sulla base dei dati forniti dalle organizzazioni della società civile attive in 14 paesi membri ha calcolato tra 790 e 841 le persone che nel 2016 hanno presentato richiesta di asilo sulla base del proprio orientamento sessuale o dell’identità di genere. Cifra chiaramente molto lontana dalla realtà. L’Agenzia mette anche in guardia sull’«inadeguatezza» dell’accoglienza offerta a questi migranti e dovuta proprio all’assenza di linee guida comuni agli stati membri.
Uno dei problemi principali – che dimostra quanto sia ancora difficile muoversi in questi ambiti – riguarda proprio i modi in cui i vari Stati verificano la veridicità delle dichiarazioni di questi migranti e richiedenti asilo. «In Svezia – riporta ad esempio l’Agenzia europea per i diritti fondamentali – gli operatori pongono domande circa le esperienze familiari dei richiedenti asilo, ma anche a proposito della loro conoscenza di organizzazioni o luoghi di incontro delle persone Lgbti». In Grecia, invece, l’attenzione sembra concentrarsi sulla conoscenza di «bar gay nei paesi di origine». Un caso forse limite è l’esperienza vissuta da Amirpds, richiedente asilo iraniano, con il servizio immigrazione olandese, caso denunciato da Epsilon. «Piangendo ho detto agli operatori: È dura, io non ho mai ammesso ufficialmente di essere gay», ha raccontato Amirpds. Per tutta risposta si è sentito chiedere cosa avesse provato la prima volta che aveva baciato un uomo: «Cosa posso dire? – ha replicato – È stato fantastico, naturalmente». Inoltre, denuncia sempre Epsilon, «vi sono Paesi europei che rifiutano la protezione sulla base dell’assunto che le persone Lgbti che mantengono un atteggiamento «riservato» rispetto al proprio orientamento sessuale nel Paese d’origine non devono temere ripercussioni».
A rendere il quadro ancora più incerto c’è poi l’omofobia presente in molti Stati europei e che troppo spesso si traduce in atti di ostilità verso i migranti e i richiedenti asilo Lgbti. Sempre l’Agenzia europa per i diritti fondamentali riporta come nel 2015 in Germania le Ong Lgbti abbiano subito 541 attacchi omofobici o transfobici, mentre il ministero degli Interni ha registrato 222 crimini di odio contro persone a causa del loro orientamento sessuale. Anche per questo motivo nascono sempre più case protette nelle quali ospitare i richiedenti asilo Lgbti. A Berlino c’è un intero palazzo finanziato dal comune adibito a questo scopo e nel quale sono ospitate fino a 120 persone, alle quali vengono assicurati corsi di tedesco, assistenza sanitaria e legale. Strutture simili esistono anche ad Amburgo e, in Olanda, ad Amsterdam, luoghi all’interno dei quali l’identità sessuale non rappresenta una differenza per nessuno. Un’esperienza che presto potrebbe vedere la luce anche in Italia grazie al MigraBo in collaborazione con altre realtà Lgbti e cooperative che si occupano di accoglienza. «Il modello è Berlino – spiega Jonathan Mastellari – un appartamento il cui indirizzo verrebbe mantenuto segreto e nel quale ospitare i richiedenti asilo Lgbti. Non si tratta di creare un ghetto, ma di dare una possibilità di scelta quanti – omosessuali e transessuali – scelgono di vivere in Italia».