Alla vigilia del primo lutto cittadino nella storia di Prato, nella tragedia di tutti si avverte anche qualche nota stonata. Ci sono l’ambasciatore e il console che vanno a trovare i feriti in ospedale senza che nessuno, dalla Prefettura alla Digos, sia stato avvertito. E già al mattino le associazioni cinesi fanno sapere informalmente che le sette vittime del rogo di via Toscana, cinque uomini e due donne, sono state identificate. In anticipo, anche comprensibile, rispetto agli investigatori, che in seguito ricevono la comunicazione ufficiale. Sono particolari, magari anche piccoli che però portano acqua al mulino dei sostenitori dell’incomunicabilità fra vecchi e nuovi residenti. Pronti a far notare perfino la doppia fiaccolata in ricordo della strage: ieri pomeriggio quella organizzata dalla comunità cinese. Una manifestazione struggente, con un migliaio di partecipanti e ben visibili le foto di sei dei sette morti. Oggi quella dei sindacati, delle rappresentanze istituzionali, e i tutti i pratesi che vorranno piangere donne e uomini morti mentre lavoravano – e vivevano – nella loro città.

I due feriti più gravi, intossicati del fumo dell’incendio, se la caveranno. Ma sono ancora in rianimazione e non hanno potuto parlare con l’ambasciatore Li Ruiyu e il console generale a Firenze, Wang Xinxia, autori di una visita lampo per informarsi direttamente dei medici delle condizioni dei connazionali. Assai più doloroso il riconoscimento di una delle vittime, fatto dal marito grazie a una catenina che la donna portava con sé. Nel mentre muove i primi passi l’inchiesta aperta dal sostituto procuratore Lorenzo Gestri con le ipotesi di reato di omicidio colposo plurimo, disastro colposo, sfruttamento di mano d’opera clandestina e violazione delle leggi sulla sicurezza del lavoro. I primi a finire nel registro degli indagati sono la titolare della ditta, e dei tre gestori di fatto della “Teresa Moda”. Tutti figli del celeste impero.

A “Radio anch’io” il procuratore Piero Tony dice di non escludere che nell’inchiesta finisca anche qualche italiano. Ma non risponde alla domanda se possa essere indagato anche il proprietario pratese del capannone dove è avvenuta la tragedia. Il motivo è presto detto: lo rivela al quotidiano locale “Il Tirreno” l’avvocato Gaetano Mari, che a inizio 2010 ha visto assolvere un suo cliente rinviato a giudizio per concorso negli abusi edilizi commessi dall’inquilino cinese. “Quella sentenza ha fatto giurisprudenza – spiega il legale – fino ad allora se venivano riscontrati degli abusi edilizi, la procura indagava anche il proprietario dell’immobile. Dopo non è più accaduto, a meno che non fosse provato che il proprietario era a conoscenza degli abusi, e non avesse fatto nulla per ripristinare la legalità”. Ipotesi difficile, se i bonifici con il pagamento degli affitti – assai salati – arrivano regolarmente.

Anche la Guardia di finanza è al lavoro, impegnata sul giro di affari della “Teresa Moda”, sui suoi committenti italiani e cinesi, sugli appalti e subappalti, e sui contratti stipulati dall’azienda di confezioni pronto moda. Un’indagine non facile, così come è da sempre complicato fare luce sulle dinamiche del distretto del pronto moda: “Ogni cinese è un microimprenditore che si aggrega in realtà come in quel capannone – osserva Piero Tony – oppure da solo. È un alveare, e con la penuria di risorse che abbiamo qui, con organici tarati a 30 anni fa, è pressoché impossibile il controllo totale”.

La Cgil Toscana fa notare che sono tante le aziende i cui prodotti passano anche dalle fabbriche-materasso dei cinesi attraverso subappalti. “Sono poche quelle che hanno firmato l’accordo per la tracciabilità di filiera – ricorda Daniele Quiriconi – nella regione ci sono Gucci e Prada”. Brand globali del lusso. Gli unici a potersi permettere di sfuggire a una dinamica che, sul fronte della produzione di base, è evidenziata in un rapporto sull’imprenditoria straniera della locale Camera di Commercio, Una ricerca di Dario Caserta e Anna Marsden che fotografa nitidamente il dinamismo e l’incessante turn over dell’imprenditoria cinese, a colpi di ditte che nascono e muoiono nel giro di due stagioni, quasi sempre individuali, e per tanti versi molto difficili da controllare.