In Italia, soprattutto in città tipo Roma dove in alcuni quartieri ci sono più macchine che abitanti (Parioli: una media di 1,3 macchine a residente. Neonati compresi: li partoriscono direttamente in una Smart) funziona che se vai in bicicletta A) «Già in vacanza?»; B) Sei, a seconda della fascia d’età, un hypster che è inutile che gli suoni il clason tanto quello sente solo la musica indie islandese, uno che da ragazzo ha fatto l’erasmus in Olanda e ora ricicla l’umido meglio di come lo Ior ricicla i soldi, un NoTav dei centri sociali che vuole pedonalizzare il Grande Raccordo Anulare, una radical chic in menopausa che dice che lo fa per l’ambiente invece pedala per bruciare calorie che infatti prima era vegetariana e ora sticazzi delle mucche e fa la Dunkan; C) «Ecco un altro sfigato che gli hanno tolto i punti della patente».

L’idea che la bici sia un mezzo di trasporto, che rispetto alla macchina sia più economico (evabbé), più ecologico (evabbé) e più rapido (Cheee?! Già: a Roma hanno fatto una simulazione, tre bici contro tre auto, da Via Nazionale a Piazza del Popolo e ritorno. Le bici, senza sforzarsi troppo, ce l’hanno fatta in 11-12 minuti. Le auto – che andavano una a 50, una 40 e una 30 all’ora – ci hanno messo 26-27 minuti), quest’idea della mobilità ciclabile da praticare e incentivare, normale negli altri paesi europei, da noi appare folle, folle anche se la benzina è diventata così cara che quando te la vendono ti ci mettono la scorza di limone, folle anche per quelli che prendono la macchina per andare in palestra a fare spinning.

Ora, ci sono due tipi di idee folli. Quelle che sono folli perché sappiamo di cosa si tratta, tipo il Bungee jumping, la Macarena o la secessione della Padania, e quelle che sono folli perché non sappiamo di cosa si tratta. Tipo, muoversi in bicicletta. Pochissimi conoscono come funziona il bike-sharing (o sanno perché a Roma non ha funzionato), quali sono gli effetti benefici delle Zone 30 (a Parigi, da settembre, il limite dei 30 chilometri all’ora scatterà in una strada su 3), quante sono le aree pedonali nelle città dove non c’è traffico, a cosa serve la segnaletica orizzontale per le biciclette nelle città tedesche. Pochissimi sanno che in Italia gli incidenti stradali bruciano il 2% del Pil (argomento che funziona con certi guidatori di suv).

Per questo è nato bikeitalia.it, portale che ha preso vita dalla fusione di tre blog di riferimento tra gli amanti della bicicletta – Bicisnob, Piciclisti, Amicodiviaggio – per parlare di mobilità, cicloturismo (con tanto di mappe e percorsi), ciclismo urbano, sicurezza stradale, ciclofficine e locuzioni che imparerete a pronunciare quando la bicicletta vi prenderà la mano come «Ruota Fissa», «Alleycat», «Freeride», Teorema della catena («Deve costare più della bici, se non vuoi che te la rubino»), corollario del teorema della catena («Pure lo scooter se lo lasci per strada te lo rubano»), Postulato di Trastevere («Merda, ero solo entrato un minuto al bar a prendere le sigarette!!!» Assioma di Copenhagen («Qui non c’è bisogno di legare la bici»). Salvate bikeitalia.it tra i preferiti e, tempo un mese, smetterete di preoccuparvi dello spread. Perché non conta dove arrivi conta la strada ma più che altro: l’altimetria.