Chiuderanno tutte le scuole paritarie? La sentenza della Cassazione civile sul ricorso del comune di Livorno è una condanna a morte per le scuole religiose, così come nel sabato estivo si affanna a dichiarare ogni politico cattolico raggiunto dal segnale telefonico? Purtroppo o per fortuna non è così, la sentenza della quinta sezione civile (sezione tributaria) della suprema corte è riferita a un periodo precedente alle nuove norme sull’Imu e le scuole paritarie, introdotte da Monti nel 2012 e perfezionate da Padoan nel 2014, norme oggi più favorevoli agli istituti religiosi.

I giudici della Cassazione hanno deciso per gli anni dal 2004 al 2009 applicando le leggi allora in vigore, leggi cambiate tre volte per agevolare le iniziative economiche confessionali, restando comunque assai confuse. Fino al famoso decreto Bersani del 2006 che voleva «promuovere la concorrenza» ma nelle disposizioni finali escludeva dal pagamento dell’Ici gli immobili utilizzati da enti religiosi «che non abbiano esclusiva natura commerciale». Col risultato di finire sotto l’esame della Corte di giustizia europea per violazione della concorrenza (in favore degli istituti religiosi, la sentenza è attesa).

Ha deciso adesso la Cassazione (presidente Antonio Merone, relatore Raffaele Botta) che per escludere l’attività commerciale non vale che la gestione della scuola sia in perdita «in quanto anche un imprenditore può operare in perdita», né che manchi lo scopo di lucro che «riguarda il movente soggettivo dell’imprenditore», potendosi escludere l’attività imprenditoriale «solo nel caso essa sia svolta in modo del tutto gratuito». Mentre nel caso delle due scuole livornesi al centro del ricorso – salesiani e suore mantellate – «gli utenti pagano un corrispettivo». Tanto è bastato ai giudici per aprire la strada al recupero delle somme dovute per l’Ici (poco più di 400mila euro nel complesso) dopo che una sezione tributaria della commissione regionale toscana diversa da quella che aveva dato torto al comune avrà applicato il principio.
È una strada che dopo Livorno potranno seguire anche gli altri ottomila comuni italiani tutti alle prese con i tagli di trasferimenti e nei guai con i bilanci, almeno quelli dove hanno sede le scuole paritarie religiose – anche queste in totale circa ottomila? In teoria sì, risponde l’avvocato Paolo Macchia che ha difeso l’amministrazione livornese in Cassazione, ma il principio andrà fatto valere davanti ai giudici tributari dopo che agli istituti religiosi avranno eventualmente chiesto gli arretrati Ici. A ben vedere lo spazio per quei sindaci che vorranno eventualmente provarci è assai stretto, perché passati cinque anni l’amministrazione perde per prescrizione il diritto a riscuotere l’imposta. Dunque chi non l’avesse già fatto potrebbe adesso attivarsi solo per i tributi dovuti dal 2010. E solo fino al 2012, quando la legge è cambiata ancora.

L’Ici è diventata Imu e in quell’anno di governo «tecnico» una della polemiche più forti fu proprio intorno all’esenzione o meno per i beni immobili gestiti dagli enti religiosi. Il risultato fu l’acrobatica distinzione tra la porzione di immobile destinata alle attività commerciali e la porzione esentata dal pagamento. Ma al Vaticano non bastava e fu direttamente Monti a offrire la soluzione: le scuole paritarie non avrebbero pagato l’Imu in caso di attività svolta a titolo gratuito o dietro un «corrispettivo simbolico». Via libera dunque alla discussione su cosa e quanto dovesse intendersi per simbolico, discussione però durata un solo anno. Fino a che nel luglio dell’anno scorso il governo Renzi e il ministro Padoan hanno fatto l’ultimo regalo alle scuole religiose. Introducendo il «costo medio per studente»: solo chi fa pagare una retta superiore a quella soglia è tenuto a pagare l’Imu. La soglia è molto alta, va dai 5.700 euro per la scuola dell’infanzia ai 6.900 della secondaria.