Dal risultato delle elezioni di oggi si capirà quale sarà il futuro dei socialisti catalani, e del loro leader, Miquel Iceta«un tipo bassetto, grassottello, calvo e gay», come si descrive lui stesso, «che mai avrebbe pensato di diventare il candidato del partito». Ma che era l’unico due anni e mezzo fa a essere disposto a raccogliere un partito in frantumi.

Perché i catalani dovrebbero tornare a votarvi?

Perché siamo l’unica forza politica di sinistra non indipendentista che non voterà mai un presidente indipendentista. Secondo i sondaggi recupereremo i voti e la fiducia dei catalani che ci vedono come strumento utile per uscire dall’attuale situazione.

Quali priorità avrebbe un governo presieduto da Iceta?

Il nostro programma contiene 700 misure concrete. Per riassumerle, proponiamo tre patti. Per la crescita, per tornare a essere un paese attraente per gli investitori e le imprese che hanno spostato la loro sede sociale; un patto per la uguaglianza, perché la crisi ha aumentato le disuguaglianze; e un patto di stato per la Catalogna per affrontare temi territoriali, perché non basta dire no all’indipendenza.

Con chi vi accordereste?

Credo che la nostra proposta di governo di riconciliazione sia quella che ora può ottenere il maggiore appoggio. Accetterò i voti di chi non voglia ostacolare una soluzione. Preferisco un governo di minoranza che ripetere le elezioni.

Altrimenti chi appoggereste?

Non un presidente indipendentista: il fallimento degli ultimi anni ha dimostrato che è una via morta. Né chi vuole continuare una politica frontista, persistere nel problema senza proporre riforme che ci facciano avanzare, come Ciudadanos.

E ai 2 milioni di persone che vogliono una Catalogna indipendente cosa dice?

La loro rivendicazione è legittima, sempre che si formuli rispettando le norme. Rispettiamo tutte le persone che ci credono, sono scese in piazza e vogliono una risposta dalle istituzioni. Ma noi non gli mentiremo. C’è stato un grande inganno da parte degli indipendentisti. Io non dirò che in 18 mesi avremo il federalismo e la riforma costituzionale che vorremmo.

È stato un errore appoggiare il 155?

Ho lottato fino all’ultimo momento perché non si producesse la dichiarazione unilaterale di indipendenza e pertanto non fosse applicato il 155. L’ho vissuto come un fallimento politico. Sarebbe stato meglio che fosse stato il presidente Puigdemont a convocare elezioni. Però l’ingerenza del governo spagnolo è stata minima, come pure la sua vigenza: le elezioni sono state convocate il prima possibile: un giorno feriale. Il 155 è servito per tornare alla legalità e restituire la parola ai cittadini. La volontà di una minoranza non si può imporre alla maggioranza.

Tre cose che farà il Psc nella prossima legislatura e tre che non farà.

Dopo la mia investitura convocherò gli agenti sociali ed economici per firmare un accordo per la crescita economica e l’occupazione. Secondo, chiamerò il presidente Rajoy per chiedergli di mettersi a lavorare dopo cinque anni senza dialogo istituzionale tra Catalogna e Spagna e per cercare un nuovo modello di finanziamento. Terzo, chiamerò il presidente della commissione europea Junker per spiegargli che la Catalogna non sarà un problema ma un’opportunità. Invece non farò una politica frontista, non farò politica con il modello educativo catalano e non promuoverò politiche che allontanino gli investimenti. l. t. b.