Sta studiando in un istituto tecnico a Palermo, a breve prenderà il diploma. Un «sogno» per Ibrahim, giunto in Italia quattro anni fa dopo avere attraversato da solo, senza famiglia, il deserto sub-sahariano e patito l’incubo dei campi libici. Ma Ibrahim, che ora ha 20 anni, come tanti altri migranti in questo momento si trova nel limbo della burocrazia. Anzi, nella trappola del decreto-sicurezza. In mano ha solo la ricevuta che gli hanno rilasciato in commissariato dove ha presentato la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno; all’anagrafe, invece, lo hanno respinto. La sua richiesta di iscrizione, fatta a novembre nonostante avesse chiesto l’appuntamento a giugno, non è stata presa in considerazione dai funzionari perché intanto era entrato in vigore il decreto contro cui si sta battendo un gruppo di sindaci, con in testa Leoluca Orlando, con l’obiettivo di portare la questione davanti alla Corte costituzionale, considerando il provvedimento «disumano e criminogeno».

UNA STORIA quella di Ibrahim che mette a nudo i paradossi di un sistema che rischia di mandare all’aria i risultati raggiunti, a fatica, da chi sul serio, senza riflettori, vive l’integrazione nella quotidianità. A raccontarla al manifesto è Giando Maniscalco che, assieme alla moglie e ai suoi due figli, ospita Ibrahim nella sua casa: «Per me è come fosse un terzo figlio, un fratello per gli altri due» dice l’ex dirigente della Regione siciliana, in pensione.

Aveva 16 anni Ibrahim quando decise di lasciare il suo paese per intraprendere un lungo viaggio attraverso la Mauritiana, il Mali, il Niger e quindi la Libia. Settimane di paura, sofferenza e stenti. Poi la traversata sul barcone, con altri compagni di viaggio, verso l’Europa. A soccorrerli nel Canale di Sicilia fu una nave tedesca che li condusse a Catania. Il ragazzo finì in un centro Sprar, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. La famiglia Maniscalco si è avvicinata a Ibrahim attraverso la onlus Refugees Welcome Italia, che fa parte del netwoork europeo fondato a Berlino nel 2014 e attivo in 15 Paesi.

«ABBIAMO DECISO di ospitarlo a tempo indeterminato – racconta Giado Maniscalco – Per farlo abbiamo seguito tutta la prassi di legge perché non basta la semplice comunicazione alla polizia, c’è un iter complesso: se non si possiedono tutti requisiti, per esempio bisogna essere proprietari di casa altrimenti occorre l’autorizzazione del proprietario se si è in affitto, tutto diventa più difficile». Poi «otto mesi dopo siamo andati al comune, che ci ha dato appuntamento a novembre per l’iscrizione anagrafica che serve per il rinnovo del permesso di soggiorno, che Ibrahim aveva per motivi umanitari».

Con sé Giado aveva tutti i documenti necessari: carta d’identità, fotocopia del rogito notarile della casa, visura catastale; Ibrahim ha compilato i moduli. «Ma l’ufficio ha rifiutato l’istanza, sostenendo che chi gode di protezione umanitaria non poteva più essere iscritto all’anagrafe sulla base del decreto sicurezza che all’epoca non era stato ancora convertito in legge ma produceva comunque i suoi effetti», ricorda l’ex dirigente regionale. «Persino il responsabile dell’ufficio permessi della Questura si stupì quando gli raccontati del rifiuto del comune – aggiunge – Mi sono sentito leso nei miei diritti di cittadino italiano, perché la richiesta è stata rifiutata a me, che col mio ospite mi ero recato in comune: una doppia lesione del diritto universale, oltre che costituzionale».

DOPO 40 ANNI di lavoro per la pubblica amministrazione, sempre in prima fila in un dipartimento regionale difficile come quello all’ambiente, per Maniscalco quel rifiuto è una ferita aperta: «I diritti nella democrazia occidentale esistono in quanto universali, l’inalienabilità della persona ha una sua peculiarità». L’ex dirigente spera ora che il permesso di soggiorno venga rinnovato per motivi di studio, comunque non si arrende e tornerà alla carica negli uffici comunali. Soprattutto dopo la mossa del sindaco Orlando che ha sospeso il decreto sicurezza, per cui all’anagrafe, già dalla prossima settimana, dovrebbero autorizzare le iscrizioni.

RIMANE L’AMAREZZA, ma anche la consapevolezza di stare dalla parte giusta. «Quello che la mia famiglia e tante altre famiglie fanno, e continueranno a fare, rappresenta anche una sorta di supplenza all’attività che dovrebbe fare lo Stato, contribuendo a ridurre la spesa pubblica tra l’altro – sostiene Maniscalco – Il ragazzo vive con noi, ha una casa, vive relazioni, impara la lingua. Se questo fosse capito, lo Stato potrebbe spendere meno raggiungendo risultati mille volte maggiori rispetto a quanto accade oggi. E invece…».