Di Billy Wilder non ci sarebbe bisogno più di parlare: il suo immenso senso dell’umorismo e la sua intelligenza artistica sono ormai parte della storia del cinema. Ma com’era Wilder nella sua gioventù, quali sono stati i suoi primi passi nel mondo del giornalismo e dello spettacolo, ce lo rivela un libro appena uscito per Lindau Edizioni (Billy Wilder «Il principe di Galles va in vacanza», pagine 224, euro 18), che raccoglie scritti del regista di «A qualcuno piace caldo» nel periodo della Berlino degli anni ’20 quando, lasciata una improbabile carriera da avvocato, comincia a scrivere articoli per un quotidiano di quella città da cui fuggirà per gli Stati Uniti d’America qualche anno dopo per evitare le persecuzioni antiebraiche. Nato in una piccola città della Galizia, allora facente parte dell’impero austro-ungarico, Billy (nome d’arte di Samuel) ci dà in questi scritti uno spaccato esilarante del periodo tra le due guerre nello scenario principale in cui avvengono e si preparano le sorti del mondo. «L’Alexanderplatz è il luogo d’incontri delle ragazze giovani. Da tutte le strade, da tutti gli angoli un fiume di impiegate e commesse fluisce verso l’Alexanderplatz, si accalca alle fermate degli autobus, agli ingressi della metropolitana. E aspetta. Imbronciata. Eppure deve arrivare. Aspettiamo ancora tre minuti e se non arriva… Non arriva. La signorina decide di contare ancora fino a cento. Conta fino a novecento. Di lui nessuna traccia. Il quarto d’ora accademico è scaduto da tempo. Lo strozzo, dice tra sé e sé. Ecco che arriva. E a braccetto se ne volano via». In questo scritto c’è già tutto l’autore di «Arianna», con quell’esilarante inizio sul bacio a Parigi. Ma non sono soltanto i suoi capolavori futuri a echeggiare in questi scritti ma anche tantissime denunce col garbo e la sferzante ironia del Wilder che abbiamo poi imparato ad amare. Si legga questa impressione su Vienna, già ormai capitale decaduta di un grande impero: «Troppa Vienna. Ah, noi amiamo Vienna. Ma senza esagerare. Troppo dolce, troppo strudel di mele e troppa panna montata». Divertente è poi la lettura di «Gente di domenica», la seconda parte del volume che raccoglie alcuni ritratti. Si veda questo inizio fulminante dedicato al grande Stroheim: «Si chiama Von e oggi a Hollywood chi sia Von lo sanno anche i bambini. Erich Von Stroheim era troppo complicato. Hanno levato dal suo nome il Von e adesso lo chiamano preferibilmente solo così per fare sfoggio di nobiltà in questo luna park di parvenu. Per di più pronunciano questo Von come One… Uno. E se uno, appena arrivato a Hollywood, chiede: ma perché chiamate Stroheim One? Si sente rispondere: ma perché ogni compagnia di produzione può girare con lui soltanto un film, dopodiché va in bolletta».