Un po’ di sovranità però avremmo potuto cederla, almeno sul calcio. E puntare su un commissario europeo, magari tedesco, per salvare le sorti di un sistema allo sbando. Invece niente. Il piglio con cui ieri Renzi ha sfidato la Troika sulle riforme trova una sponda nel modo in cui, dopo un traffico di voti, una girandola di siparietti e un trambusto di interessi degni del Consiglio di sicurezza dell’Onu, Carlo Tavecchio è stato eletto presidente della Federcalcio.

Abbiamo bisogno delle riforme, perché pare ce lo chieda l’Europa. Non è chiaro invece quale medico, quale specialista di eugenetica ci abbia ordinato di smetterla con i calciatori mangia-banane. Prescrivendoci di affidare un comparto che smuove animi e milioni di euro come pochi, dove la violenza fisica e verbale a sfondo razzista è indicata come un’emergenza, un signore le cui sincere pulsioni politiche vengono ora fatte passare per gaffes. Quando è evidente che frasi come quelle riservate da Tavecchio alle calciatrici e agli africani che cercano fortuna da noi sono lo specchio fedele di una personalità, una cultura, un’impostazione ben precise. Tanto quanto le cinque condanne penali rimediate in carriera, dall’uomo ora chiamato a risanare il calcio italiano dopo la disfatta mondiale.

Renzi non commenta e ha già spiegato perché. Sarà anche poi che a forza di elucubrazioni costituzionali ha smarrito il contatto con i bisogni reali del paese. Dove siamo, e soprattutto che anno è? Allora c’è il suo ministro degli Interni che torna a bomba sui veri problemi degli italiani. Il più grave di tutti, calendario alla mano, è l’eccesso di venditori ambulanti sulle spiagge. Alfano immagina di liberare i bagnanti dalla loro petulante insistenza e insieme di salvare il made in italy dai falsari. «Basta essere insolentiti da orde di vu cumprà, dobbiamo radere al suolo la contraffazione», ha detto il Netanyahu delle boutique. Con un lessico («vu cumprà», tralasciando qui «insolentiti») che in altri tempi avremmo definito da curva.