Secondo una ricerca pubblicata dalla rivista Science, l’insorgenza della celiachia potrebbe dipendere da un’infezione virale. Lo studio è stato realizzato da un team internazionale di ricercatori diretto dall’immunologa Bana Jabri dell’università di Chicago e che ha coinvolto anche l’università Federico II di Napoli. Gli scienziati hanno identificato un possibile meccanismo virale attraverso cui, in presenza di glutine, il sistema immunitario attacca l’intestino del suo stesso organismo. Nella forma più grave, le persone affette da celiachia subiscono l’atrofia dei villi intestinali, che a sua volta provoca il mancato assorbimento di sostanze nutritive fondamentali e patologie ancor più gravi come cancro, malformazioni o epilessia. I responsabili della reazione fuori controllo sarebbero i reovirus, molto comuni e normalmente innocui. Dopo essere stata osservata nei topi, l’ipotesi è stata confermata verificando la correlazione tra infezione virale e celiachia nei pazienti umani.

FINORA, DELLA CELIACHIA si conoscevano soprattutto l’origine genetica e il principale fattore scatenante ambientale. Gli individui celiachi, infatti, condividono alcune caratteristiche specifiche proprio nei geni collegati alle proteine che regolano il sistema immunitario, il cosiddetto «antigene leucocitario umano». In presenza di queste varianti genetiche, per la comparsa della malattia è necessaria l’assunzione di glutine, una sostanza proteica contenuta nei cereali (soprattutto frumento, grano, farro, segale e orzo). Al momento, una dieta priva di glutine è l’unica terapia efficace: l’aspettativa di vita di una persona celiaca che evita il glutine a tavola è la stessa di un individuo sano.

Ma nonostante la malattia sia conosciuta e studiata sin dall’antichità (fu descritta già da Areteo di Cappadocia, medico del II secolo d.C.), sulla celiachia permangono diversi interrogativi. Il quesito principale riguarda la sua crescente diffusione. Raccogliere dati in materia non è facile, perché la malattia può avere manifestazioni molto diverse da un singolo all’altro. Inoltre, essa viene facilmente confusa con intolleranze e allergie al glutine.
L’impressione superficiale è che la malattia sia diffusissima, e induce un numero ingiustificato di persone a seguire una dieta priva di glutine. Anche se la percentuale di persone affette si aggira intorno all’1%, l’impressione non è così sbagliata. Gli studi compiuti su fette sufficientemente ampie della popolazione statunitense dimostrano che la percentuale di persone celiache è quintuplicata durante la seconda metà del XX secolo.

PER COMPRENDERE LE CAUSE di questo aumento stupefacente, meglio non affidarsi a Google. In rete, infatti, abbondano i siti dedicati a salute e alimentazione in cui il colpevole è dichiarato forte e chiaro: la diffusione della celiachia sarebbe determinata dal «grano moderno». Le nuove varietà di grano messe a punto nel secondo dopoguerra allo scopo di massimizzare la produzione conterrebbero una maggiore percentuale di glutine. La «rivoluzione verde» e le biotecnologie basate sulla genetica sarebbero i fattori scatenanti dell’epidemia di celiachia.

La teoria però non è supportata dai dati. Il «grano moderno», infatti, non contiene necessariamente più glutine rispetto alle varietà tradizionali. Come scrivono Beatrice Mautino e Dario Bressanini in Contro Natura (Rizzoli), la percentuale di glutine nel grano varia parecchio da un anno all’altro: «il 1938 è stato l’anno a più alto contenuto di glutine della storia degli Stati Uniti, con una media di proteine che sfiora il 19%, mentre nel 1927 le proteine si assestavano attorno all’11%. Tralasciando i picchi, però, il contenuto di proteine sembra oscillare sempre tra il 12% e il 15% senza mostrare un aumento progressivo».

Nemmeno i cambiamenti nella nostra dieta possono giustificare da soli l’aumento della celiachia: secondo i dati del chimico David Kasarda, pubblicati nel 2013, negli Usa il consumo di cereali è quasi dimezzato negli ultimi cento anni (da 100 a 60 chilogrammi l’anno), con l’abbandono graduale di alimenti «poveri» come i cereali.

DNA E GLUTINE, dunque, non spiegano da soli le «stranezze» che caratterizzano la celiachia. In molte persone predisposte, ad esempio, la malattia si manifesta a distanza di anni dall’assunzione di glutine. La letteratura scientifica, inoltre, riporta casi di intere popolazioni con abitudini alimentari e caratteristiche genetiche analoghe, ma con percentuali di celiaci molto diverse.

In Algeria, ad esempio, i celiaci sono dieci volte più numerosi che in Tunisia. Persino nella piccola Carelia, regione a cavallo del confine tra Russia e Finlandia, si verificano le stesse discrepanze: «deve esistere un terzo protagonista, nascosto, del quale non sono ancora stati tracciati i connotati», concludono Mautino e Bressanini nel loro libro. La ricerca pubblicata da Science forse rappresenta un primo passo nella soluzione dell’enigma.