Hanno ancora senso resoconti di viaggio e journaux intimes? Ha senso affidare alle pagine di un diario le vicende di un cuore che si mette a nudo? La risposta è affermativa, non c’è dubbio, se quel diario è opera di scrittori come Adelelmo Ruggieri, capaci di decostruire e trasformare un genere privato e spesso postumo in un gesto autenticamente civile. Dopo Il poggio (in Porta marina, peQuod 2008) e il semiclandestino I tetti sono semplici a Sali (Capodarco Fermano Edizioni 2012), lo scrittore di Fermo torna a raccontare i suoi viaggi minimi in Subito o domani. Non è la stessa cosa (Italic Pequod, euro 15), un «baedeker intimo» che accompagna il lettore in una serie di itinerari originali e misteriosamente necessari per chi li compie. Che siano le Marche basse e i capolavori che Lorenzo Lotto vi ha disseminato, la Costa abruzzese dei Trabocchi, i quattro paesi arbereshe del Molise o le tre foci dei fiumi che bagnano il fermano, Ruggieri parte alla volta dei luoghi prescelti con la stessa necessità di vedere e comprendere – se stessi, oltre che il mondo – di un cavaliere errante o di uno scrittore Beat.

Ma ciò che caratterizza queste pagine e le rende del tutto inconfondibili è proprio quel particolare equilibrio, per nulla facile da conquistare, tra racconto e riflessione, resoconto e journal. Sia quando si sofferma su un dipinto, sia quando percorre in lungo e in largo un paese semideserto, lo sguardo di Ruggieri, filtrato da uno stile di scrittura insieme essenziale ed emotivo, riesce a restituirci con efficacia la dimensione storica e umana – in una parola: la dignità – di luoghi e incontri, tanto che si chiude il libro con una duplice sensazione: di conoscere bene quelle persone e quei luoghi, per averli vissuti di persona, e di volerli vedere o rivedere di nuovo, strappandoli alla noncuranza che sin qui avevamo riservato loro.

Basterebbe questo, forse, per fare di questo «baedeker» un emozionante libello civile, al pari delle «geografie commosse» di Franco Arminio. Eppure c’è dell’altro, perché nel gesto compulsivo di «dover andare» e in quello di restituire i referti della sua inarrestabile qu?te, Ruggieri sottintende sempre un’ipotesi di comunità possibile, da conquistare o portare alla luce. I pescatori sulle foci, gli avventori di un bar, i passeggeri di un autobus diventano ogni volta interlocutori e testimoni di qualcosa, altri che completano e fanno dell’io la parte di un tutto (di un popolo?) che non c’è o che c’è solo per poco, prima che la solitudine o l’indifferenza ritornino a dividere e a segregare. È per questo che Subito o domani. Non è la stessa cosa non può terminare: l’ultima parola del libro è infatti un altro, ennesimo «Devo andare», come se l’imperativo morale di cercare un senso e di salvaguardare l’ipotesi di una comunità costringesse l’autore a non arrendersi, a tornare on the road in direzione di un luogo che potrebbe anche non esistere (un’utopia?), ma che vale la pena continuare a cercare.