Con l’esplicita richiesta di sospensione della nuova Costituente, la quale, si legge nella nota diffusa dalla Santa Sede, «anziché favorire la riconciliazione e la pace», alimenterebbe «un clima di tensione e di scontro», papa Francesco sembra uscire allo scoperto riguardo alla situazione del Venezuela.

Dopo aver mantenuto a lungo una linea di prudenza, invitando ripetutamente a «costruire ponti» fino a offrire la propria mediazione nel dialogo tra il governo e l’opposizione (per poi ricondurre il fallimento del negoziato proprio alle tante divisioni della destra), il papa chiede ora la «sospensione della Costituente». Qual è il punto? Che Bergoglio non può certo essere annoverato ora come legato alle oligarchie venezuelane o sudamericane in genere; invece la Conferenza episcopale venezuelana sì. E la leadership della Conferenza dei vescovi è stata ricevuta in udienza lo scorso giugno proprio dal papa, fornendogli per l’occasione un quadro infernale del Paese.

La nota sulla crisi venezuelana della Santa sede di ieri, arriva a chiedere a tutti gli attori politici, ma «in particolare al governo», di assicurare «il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali», e a rivolgere «un accorato appello» all’intera società a scongiurare ogni forma di violenza, ma, di nuovo, «invitando, in particolare, le Forze di sicurezza ad astenersi dall’uso eccessivo e sproporzionato della forza».

Ed è così che anche il papa, probabilmente nell’intento di fermare il precipitare violento della crisi a Caracas, rischia di aggiungersi alla lunga lista di voci contro la Costituente, già definita dai vescovi, per bocca dell’arcivescovo di Caracas, il cardinal Jorge Urosa Savino (noto tra l’altro per aver benedetto il colpo di Stato del 2002) come «Illegale e illegittima», perché «non convocata dal popolo». Benché sia proprio l’attuale Costituzione voluta da Chavez a riconoscere espressamente al presidente della Repubblica (oltre che ai due terzi dell’Assemblea nazionale o dei Consigli comunali e al 15% del corpo elettorale) la possibilità di convocare un’Assemblea Costituente per trasformare lo Stato e creare un nuovo ordinamento giuridico.

Così la posizione di Urosa Savino è ampiamente condivisa dalla Conferenza episcopale ma dentro la Chiesa è non così unanime come vorrebbe far credere il cardinale, secondo cui la bocciatura del progetto di Maduro unirebbe tanto i vescovi quanto i preti delle comunità più povere.

In tutt’altra maniera la pensa, per esempio, il gesuita Numa Molina, parroco della storica chiesa di San Francisco a Caracas che ha incontrato Bergoglio nel febbraio concelebrando con lui l’Eucarestia nella cappella di Santa Marta. Decisamente in controtendenza rispetto alla posizione della Compagnia di Gesù, schierata apertamente contro il governo Maduro, Numa Molina contesta gli inviti della gerarchia alla disobbedienza civile e alle proteste pacifiche, quando «tutti sanno quale significato assumono in Venezuela tali proteste «una delle quali – ricorda – ha dato vita nientedimeno che a un colpo di Stato, quello dell’11 aprile del 2002»; denuncia il silenzio assordante dei vescovi sulle innumerevoli conquiste sociali realizzate dal governo bolivariano; sottolinea l’assenza clamorosa di una qualsiasi parola di condanna nei confronti delle ripetute violazioni dei diritti umani da parte dei gruppi armati dell’opposizione, giunti perfino a bruciare vive più di 20 persone sospettate di appoggiare il governo; pone l’accento sulla sintonia pressoché totale tra la Conferenza episcopale e i partiti dell’opposizione della Mud (Mesa de la Unidad Democrática), confermata dal sostegno dei vescovi al plebiscito farsa convocato dall’opposizione il 16 luglio scorso, quando molte parrocchie sono arrivate a cedere i loro spazi per consentire la consultazione delle destre, questa sì chiaramente illegale.

E che quella di Numa Molina non sia una voce isolata sta a indicarlo anche una recente nota dell’ordine delle Religiose del Sacro Cuore, molto attive in Venezuela a fianco della popolazione più povera, le quali offrono un quadro decisamente alternativo a quello trasmesso dall’informazione ufficiale: «20 anni fa – recita la nota – tutto quello che oggi manca si trovava facilmente sugli scaffali, ma la maggior parte dei venezuelani e delle venezuelane non poteva permettersi di acquistarlo». E se ora scarseggiano beni essenziali, spiegano le religiose, la colpa non è di Maduro, ma di «un’industria capitalista borghese» che «non produce a sufficienza perché non vuole farlo», spinta solo dalla volontà di rovesciare un governo legittimo che ha osato promuovere educazione, sanità gratuita, diritti del lavoro, salariali e sociali e restituire autostima e dignità alle maggioranze povere del Paese. «Più che la mancanza di alcuni alimenti e di forniture mediche e medicine, ci preoccupa – conclude la nota – la certezza che un eventuale trionfo dell’industria capitalista, per qualunque via, significherà la perdita della maggiore quantità di sicurezza sociale, salariale ed educativa di cui abbiamo mai goduto».
E salutando l’esito delle elezioni per la Costituente come «grande festa della corresponsabilità», una di queste religiose, l’educatrice popolare Jacquelin Jiménez, commenta: «Sfidando la minaccia di aggressioni degli antichavisti, Il popolo ha voluto con il suo voto ricordare su quali spalle si sostiene questo Paese».