«Da oggi si deve scegliere. O di qua, o di là. Scegliere le idee del secolo che è finito nel 1999 oppure quelle del secolo che finirà nel 2099». Beppe Grillo torna ai massimi sistemi dopo le giornate romane nelle quali più prosaicamente si è infilato alla testa della trattativa tra il suo Movimento 5 Stelle e Mario Draghi e lancia un ultimatum dal suo blog.

MA NON È ARIA di profezie futurologiche: la base parlamentare grillina è in subbuglio da quando è stata presentata la lista dei ministri che compongono il governO. Tanto che compare anche una lettera aperta inviata da alcuni parlamentari per chiedere la ripetizione del voto su Rousseau in quanto «la previsione posta nella consultazione dell’11 febbraio non ha trovato riscontro nella formazione del nuovo governo». «Non c’è il super-ministero che avrebbe dovuto prevedere la fusione tra il ministero dello sviluppo economico e il ministero dell’ambiente oggetto del quesito», si legge. Lo statuto consentirebbe nuove consultazioni entro cinque giorni, ma a decidere dovrebbero essere o il garante grillo o il capo politico Vito Crimi. Difficile che tutto ciò avvenga, come fa capire Roberta Lombardi, che con Crimi fa parte del comitato dei garanti del M5S: «Dobbiamo giocare con le carte che abbiamo in mano e onorare fino all’ultimo gli impegni scritti sul nostro programma».

IN SERATA le assemblee dei gruppi parlamentari confermano che si va oltre il dissenso sulla scelta strategica di stare nella maggioranza. Quella decisione, seppure sofferta, pareva già in fase di elaborazione da parte della maggioranza dei parlamentari. Al senato sarebbero sempre una ventina quelli intenzionati a votare contro il governo. Ma adesso molti degli eletti contestano la gestione della trattativa, la distribuzione dei ministeri e la scelta di alcuni nomi.

DAI VERTICI mettono le mani avanti e spiegano che Draghi ha preso le sue decisioni in perfetta solitudine. Tra le scelte più criticate, al di là di quelle di legate al ripescaggio di volti dell’era Berlusconi, c’è quella di affidare il «superministero» della transizione ecologica a Roberto Cingolani. Venerdì sera, quando il suo nome ha cominciato a circolare, i comunicatori del M5S garantivano che fosse stato indicato dal fondatore in persona, schierando la sua figurina accanto agli altri quattro ministri di diretta espressione pentastellata. L’immagine si è un po’ appannata man mano che il curriculum di Cingolani diventava di dominio comune e smetteva di essere patrimonio degli addetti ai lavori. «Troppo legato alla vecchia politica», storcono il naso parecchi grillini a proposito del responsabile innovazione di Leonardo Spa.

COSÌ, MENTRE Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli, Federico D’Incà e Fabiana Dadone giurano al Quirinale, va in scena la protesta. «Lo capisce chiunque che ci hanno trattato come deficienti dandoci questi ministeri – dice ad esempio il deputato Luigi Iovino – Non è accettabile avere un peso politico più basso di Leu. La Lega ora gestisce i soldi del Recovery, noi abbiamo perso il ministero dello sviluppo economico». Un deputato alla seconda legislatura come Giuseppe D’Ambrosio annuncia il suo addio al M5S. Che non sia più questione di correnti interne è dimostrato dal fatto che esprime malessere anche una governista come Rosa Barone, fresca assessora al welfare del M5S nella giunta pugliese di Michele Emiliano. Anche Nicola Morra, che pure nei giorni scorsi sembrava aver placato la sua inquietudine affidandosi a Grillo, parla di un esecutivo «Jurassic Park» e avverte: «Il Movimento o torna a essere Movimento o sparirà». Poi dice: «Ci sarà a breve l’elezione dell’organo collegiale, si spera, e vediamo di capire se si può cambiare questa direzione di marcia. Altrimenti non possiamo far altro che evaporare». Alessandro Di Battista, che sembrava avere attutito i toni, insiste: «Il presidente del consiglio è responsabile della scelta dei suoi ministri. Con questi nomi perde la santità e torna ad essere un semplice beato. Tempo al tempo».