Se davvero Matteo Renzi dovesse andare fino in fondo e aprire la crisi cosa farebbe il Movimento 5 Stelle, cioè il partito della maggioranza attuale che ha più da temere da un ritorno alle urne?
Al momento tutti giurano di essere pronti al voto. Si tratterebbe di decidere in che modo, se in alleanza con il centrosinistra (come ha proposto ad esempio Stefano Patuanelli) o da soli (come ha ribadito Barbara Lezzi). Eppure, molti grillini rivendicano quello che successe dopo la rottura per gran parte non voluta con Salvini nell’estate del Papeetee, e ricordano di aver già dimostrato di essere in grado di muoversi alla bisogna per costruirsi una nuova maggioranza con disinvoltura.
Del fatto che la via d’uscita potrebbe arrivare dalla scomposizione degli attuali schieramenti se n’è accorto anche Carlo Calenda, che pure ha basato l’identità del suo progetto politico sulla contrapposizione al M5S: una parte dei grillini, bisognerà vedere quanto ampia, sarebbe pronta a mettersi in gioco. «Io penso a un governo politico – ha detto il fondatore di Azione! all’AdnKronos- dove ci sono gli amministratori e gli schieramenti che sostengono in Europa la Von der Leyen». Per Calenda dovrebbero essere della partita le forze che a Bruxelles hanno eletto la presidente della Commissione, a partire da Pd e Forza Italia. Ma anche, ecco il punto, «un pezzo del M5S meno matto».
Siamo nel campo della fantapolitica, ma gli eventi succedono con tempi che non corrispondono alla riorganizzazione interna del M5S. Per decidere come sarà composta e come funzionerà la nuova leadership collegiale, ad esempio, bisogna aspettare almeno un mese. E le parole di Calenda colgono il fatto che è proprio sul calco delle alleanze europee che nel M5S stanno avvenendo gli smottamenti principali, dall’inizio della legislatura Ue fino alle ultime ore. È successo ancora prima di rompere con la Lega, quando la maggior parte dei parlamentari europei votarono la commissione Von der Leyen. È accaduto qualche settimana fa quando dalla delegazione grillina in Europa si sono scissi quelli che dicono di volersi opporre alla trasformazione del M5S in un soggetto aperto alle alleanze tradizionali. Si è verificato ancora quando Luigi Di Maio ha rotto i rapporti con molti dei dissidenti sul Mes. Tra di essi c’è anche Alvise Maniero, che adesso il direttivo del M5S alla camera vorrebbe sostituire come presidente della delegazione parlamentare al Consiglio d’Europa. Ieri diciassette parlamentari hanno diffuso un documento per contestare questa rimozione. «Non crediamo che nel nostro M5S siano possibili tentativi di condizionamento slegati dalle funzioni istituzionali, ma dettati da urgenze domestiche di partito», denunciano.