Ritornano gli anni ’80, anzi le estati a Forte dei Marmi del 1984 e del 1985, La Capannina, e la musica: gli Spandau Ballet, Cindy Lauper, Mike Francis, Tropicana, Sunshine Reggae, I Just called To Say I Love You, il Costanzo Show, le discussioni su Il Giornale di Montanelli come giornale della destra (lo era, lo era), quelle su Tonino Cerezo e Chierico («Chierico nun po’ gioca’ a sinistra»). Ritornano gli onorevoli socialisti («E tanti ossequi al Presidente Bettino!») che piazzano le attricette a Drive In e poi montano i film estivi per farle lavorare esattamente dove loro vanno in vacanze (che coincidenze…). E ritornano i Vanzina Brothers e il loro vecchio e glorioso Sapore di mare, girato nel 1983, ma ambientato venti anni prima.

Stavolta, con Sapore di te, siamo di nuovo a Viareggio e a Forte dei Marmi, ma il film è ambientato metà nell’estate del 1984 e metà in quella del 1985. Un po’ come fossero sequel del primo film, anche se gli anni ’60 sono proprio lontanissimi. Ovvio che le cose non possano funzionare come trent’anni fa, anche perché non è possibile più avere così facilmente i diritti su tante canzoni, che sono uno degli elementi chiave del film vacanziero come già spiegava Dino Risi. E il nostro cinema non possiede più così tanti attori e caratteristi, al punto che se Maurizio Mattioli può essere un ottimo nuovo Mario Brega, romanistissimo e battutaro («La prossima volta ti porto a Vipiteno!» o «Ha detto i Caraibi mica Coccia de’ Morto!»), non si può trovare facilmente un nuovo Guido Nicheli, qui omaggiato da certo Andrea Pucci, un po’ anonimo. Mentre il bagnino di Ennio Antonelli diventa qui il fusto Paolo Conticini. Inoltre trent’anni sono passati per tutti, per noi critici e per i Vanzina.

Detto questo il film, miracolosamente, possiede una certa freschezza, soprattutto nella prima parte, nel tratteggiare i personaggi delle ragazze, Martina Stella, Virginie Marsan, Katy Saunders, con le loro storie d’amore sballate. Non c’è mai una volgarità, non tanto di battuta, quanto di messa in scena. Il mondo borghese diviso tra milanesi e romani messo in scena dai Vanzina non è tanto un ritratto dei magici anni ’80, quanto quello dei borghesi di questi ultimi trent’anni. Che i Vanzina trattano in maniera mai ideologica, mai pesante, mai colpevolizzante, mai moralista. Perfino l’onorevole craxiano un po’ corrotto, Vincenzo Salemme, con l’amante Serena Autieri, Susanna Acampora detta Susy, è alla fine uno di noi. «Io ti ho lanciata nel mondo del cinema. Pupella Maggio mi potrebbe denunciare per una cosa simile!», le rimprovera.

Ma hanno fatto bene a non rinchiuderlo in prigione nelle scene finali, come avevano girato e poi tagliato, perché sarebbe stata una inutile travagliata. Intanto Susy, dopo aver girato il film vacanziero «alla Vanzina», viene notata a Genova da un ricco armatore, tal Aristide Ghezzi, che la sposerà felicemente.Come nel film precedente, i Vanzina si divertono a costruire amori, tradimenti e storie, con dialoghi da diarietto scolastico coi cuoricini («Durò tutto un attimo come il breve tempo della mia felicità»). Ma tutto questo non è riduttivo, non è linguaggio da sitcom. Anzi. È totalmente autoriale, in quanto vanziniano. Al tempo stesso sono rispettosi come sempre del film dei padri nobili della commedia, ma anche dei vari Muccino e Moccia di questi ultimi tempi, dai quali riprendono parte del cast, Giorgio Pasotti, Martina Stella. Ovvio che su tutti trionfi il personaggio a loro più vicino, cioè il romanista di Maurizio Mattioli, che sogna di poter dare un finale diverso a Roma-Liverpool che cancellò i sogni di gloria della squadra, ma trovo anche per ben costruiti i ragazzi, inediti o quasi, come Matteo Leoni e Eugenio Franceschini, e le ragazze. Certo, con un po’ di canzoncine anni ’80 in più e qualche faccetta più giusta…