Ispirato e instigato da Sarah Driver dicono i credits di Solo gli amanti sopravvivono, l’ultimo film di Jim Jarmush – che arriva solo ora in Italia un anno dopo la sua presentazione in concorso a Cannes. E, dietro ai due pallidissimi, affusolati amanti vampiri del titolo (Tilda Swinton e Tom Hiddleston) non è difficile intravedere il regista extracool di Dead Man e Ghost Dog: Il codice del Samurai, filmmaker anche lui e la sua compagna di sempre. D’altra parte, la new wave cinematografica newyorkese anni ottanta da cui entrambi vengono, oltre all’anima punk, striata com’era di eroina e malaise, qualcosa di gotico e macabramente notturno lo ha sempre avuto. Dormendo di giorno e dedicandosi di notte ai loro passatempi preferiti – leggere, scrivere ascoltare e comporre musica, e sorseggiare sangue di prima qualità (0 negativo è il più richiesto, ed è provvisto da compiacenti dottori locali, perché il morso sul collo ’fa troppo 15esimo secolo’) Adam e Eve iniziano il film a distanza. Lui in una fatiscente Detroit postindustriale, culla della musica che ama, dove colleziona chitarre rarissime, compone rock di culto che però nessuno deve ascoltare e mantiene un unico legame con il mondo esterno attraverso Ian (Anton Yelchin) un giovane fan che soddisfa tutti i suoi desideri.

Eva è invece a Tangeri dove di notte, arrampicandosi per le stradine della città vecchia, va a trovare Christopher Marlowe (John Hurt) che in realtà ha scritto tutti i drammi di Shakespeare. Insieme parlano parlano di arte e filosofia del passato. Se si esclude il suo newyorkesissimo primo film (Permanent Vacation ), il cinema di Jarmush è quasi sempre stato un cinema di cool people in cool cities, personaggi impossibilmente hip in strane città d’America e grandi capitali del mondo. Non a caso, tra i registi della sua generazione è stato fra i primi ad essere adottati anche finanziariamente all’estero (Solo gli amanti sopravvivono è stato realizzato con capitali tedeschi e prodotto dall’inglese Thomas). I suoi personaggi sempre un po’ off dentro delle cose, marginali per scelta, un po’ come un’aristocrazia. Adam e Eve fanno parte dello stesso gruppo e, un po’ come la bambina e il samurai di Ghost Dog, sono cultori e custodi di pratiche e arti antiche, in via di estinzione. Pratiche che non hanno più posto nell’oggi, popolato com’è di quelli che Adam chiama con disprezzo zombie.

Quando Eve si reca a Detroit per rivedere il suo amante, riempie religiosamente la sua valigia solo di libri. Nel suo studio musicale pieno di strumenti vecchi di secoli, Adam ricorda il quintetto d’archi che ha passato a Schubert. Perché questi vampiri, di tanto in tanto, hanno bisogno di manifestarsi nella storia del mondo. Elitario, «di setta», il cinema di Jarmush un po’ lo è sempre stato, con i suoi protagonisti laconici, che spesso non parlano nemmeno la stessa lingua, gli attori importati, le immagini elegantissime che non hanno mai fretta. La sostanziale mancanza di storie, la diffidenza nei confronti del dialogo «importante». Quelle musiche… I suoi ultimi due lavori, Broken Flowers e The Limits of Control (rifiutato proprio a Cannes, qualche anno fa. È stato visto pochissimo ovunque) sembravano riflettere un percorso esaurito, arrivato, una visione diventata ormai troppo assorta in se stessa, sfrangiata, esangue. Il riferimento all’emoglobina non è casuale: con Solo gli amanti sopravvivono, un film denso di autobiografia, malinconicamente divertente e narrativamente lineare, Jarmush in un certo senso si ributta nella mischia. Come Adam e Eve alla fine del film. Anche se fa tanto 15esimo secolo…