«Tirateli su, ancora più su, ora sistemateli in fondo all’autocarro». Dalle prime luci del giorno Abu Saleh, impiegato all’ex ministero dell’interno di Hamas, dirige il lavoro dei manovali incaricati di portare vie scrivanie e armadietti da edifici e caravan di “Arbaa Arbaa”, il posto di controllo del movimento islamico a nord di Gaza, nei pressi del valico di Erez con Israele. Sugli automezzi gli uomini di Abu Saleh hanno caricato un po’ di tutto, a cominciare dai faldoni stracolmi appartenenti alla polizia e ai servizi di sicurezza. Documenti sui movimenti in entrata ed uscita da Gaza accumulati negli ultimi tre anni. Quelli dei periodi precedenti furono ridotti in cenere dai bombardamenti israeliani del 2008, del 2012 e del 2014. Prima del trasloco si è svolta la cerimonia del passaggio delle consegne tra i funzionari del movimento islamico e quelli del governo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) che ieri ha ripreso, dopo più di 10 anni, il controllo dei valichi con Israele e l’Egitto. Si tratta del primo decisivo passo nell’attuazione dell’accordo di riconciliazione nazionale palestinese siglato il 12 ottobre al Cairo tra Hamas e il partito Fatah del presidente Abu Mazen che ha di nuovo autorità su tutta la Striscia. Ma solo sulla carta perché sul terreno il suo potere a Gaza resta astratto. E, proprio per guadagnare consensi, ha abolito le pesanti sanzioni che aveva imposto prima dell’estate contro Gaza e con i “dazi doganali” ed altre tasse imposte dai governi di Hamas in questi anni.
In poche ore è scomparso “Arbaa Arbaa” uno dei simboli del controllo di Hamas su Gaza. Gli edifici vuoti ospiteranno, ci spiegavano ieri, la “dogana” dell’Anp. Proseguiranno le ispezioni dei bagagli ma non ci sarà più il controllo dei passaporti e delle carte di identità. Fino a due giorni fa, per entrare a Gaza era obbligatorio mostrare i documenti a tre autorità diverse in poco più di tre chilometri: al terminal israeliano di Erez dove chi non è autorizzato dai militari non entra, alla piccola postazione dell’Anp e infine ad “Arbaa Arbaa” dove in particolare i cittadini stranieri erano tenuti ad esibire un’autorizzazione del ministero dell’interno di Hamas richiesta in anticipo. Sono terminate le restrizioni ai movimenti imposte dagli islamisti ma restano in vigore quelle ben più pesanti di Israele che continua ad avere l’ultima parola sugli ingressi a Gaza, di palestinesi non residenti nella Striscia, stranieri, operatori umanitari, diplomatici e funzionari dell’Onu.
Ieri, nelle stesse ore, all’altro capo di Gaza, Hamas ha sgomberato il suo posto di controllo al valico commerciale di Karem Abu Salem (Kerem Shalom) dove un funzionario governativo ha sostituito quello del movimento islamico. La cerimonia più importante, sotto poster giganti di Abu Mazen e del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, però si è svolta al terminal di Rafah, fra Gaza e il Sinai, dove a metà mese riprenderà il transito regolare di persone e merci sotto la sorveglianza della guardia presidenziale palestinese e, pare, anche del contingente europeo di osservatori Eubam. Dovrebbe perciò tornare in vigore l’accordo per la gestione della frontiera di Rafah raggiunto da Anp, Stati Uniti, Israele ed Egitto nel 2005, dopo l’evacuazione unilaterale da Gaza di coloni e soldati israeliani decisa dal governo di Ariel Sharon.
La “musalaha”, la riconciliazione, va avanti. È alle spalle, almeno a parole, il bagno di sangue (almeno 700 morti) del giugno 2007, seguito ai tentativi dietro le quinte di rovesciare il governo di Hamas uscito vincitore dalle elezioni del gennaio 2006, che si concluse con la presa del potere degli islamisti a Gaza a danno di Fatah e delle forze di sicurezza di Abu Mazen. «La consegna dei valichi di Gaza è un passo importante, il movimento di persone e merci sarà sotto la responsabilità del governo di riconciliazione nazionale», ha commentato Azzam al Ahmad responsabile di Fatah per i negoziati con Hamas. «Abbiamo finito la prima fase della riconciliazione. Ora andremo a discutere (il 21 novembre al Cairo, ndr) dei problemi più grandi» ha aggiunto il leader di Hamas, Ismail Haniyeh. Restano da sciogliere nodi importanti, a cominciare dal ruolo della milizia del movimento islamico, le Brigate Ezzedin al Qassam, di cui Hamas esclude categoricamente il disarmo. Sullo sfondo restano il blocco israeliano che soffoca Gaza da oltre dieci anni e il rifiuto del governo Netanyahu di accettare la riconciliazione tra Hamas e Fatah.