La lotta alla pandemia sarà uno dei punti all’ordine del giorno del summit del G20 di Roma. Il drammatico squilibrio di risorse sanitarie tra paesi ad alto e basso reddito era stato il principale tema del G20 della Salute, che a Roma a maggio aveva prodotto la solenne “Carta di Roma”, piena di promesse e impegni. Puro «bla bla bla», direbbe Greta Thunberg. Come infatti denuncia la sezione africana dell’Oms «solo 5 paesi raggiungeranno l’obiettivo fissato per la fine dell’anno, cioè la vaccinazione completa del 40% della popolazione». Secondo l’agenzia, in Africa mancano persino le siringhe per le vaccinazioni. «Il mercato è diventato estremamente competitivo. Le scorte di dispositivi sono insufficienti e rimarranno tali almeno fino al primo trimestre del 2022».

LA PRESIDENTE della Commissione europea Ursula von der Leyen, parlando da Bruxelles prima di partire per Roma, finge che stia andando tutto bene: «L’Ue finora ha esportato, in undici mesi, 1,2 miliardi di dosi di vaccini verso oltre 150 Paesi» ha dichiarato in conferenza stampa. Non si riferisce agli aiuti umanitari, ma alle dosi vendute a prezzi di mercato dalle aziende farmaceutiche che hanno impianti in Europa. Dal punto di vista della cooperazione, le cose stanno diversamente. A Roma, l’Unione aveva promesso 100 milioni di dosi entro la fine del 2021 per i paesi poveri attraverso il programma Covax dell’Oms e di diverse fondazioni filantropiche. L’impegno era stato raddoppiato in luglio, arrivando a 200 milioni di dosi. Pochine.

Eppure, l’Ue non ha mantenuto nemmeno questo impegno: i 27 hanno spedito nei paesi poveri attraverso Covax solo 60 milioni di dosi, il 30% di quanto promesso. Nonostante la promessa mancata, Von der Leyen rilancia: «L’Ue e gli Stati membri doneranno oltre 500 milioni di dosi di vaccini fino alla metà del prossimo anno», ha detto ai giornalisti. «So che alcuni Stati hanno avuto alcuni ostacoli con le consegne di queste dosi promesse. Stiamo affrontando il problema con i Paesi membri e con i produttori per velocizzare le consegne».

LA REALTÀ è ben diversa. I paesi dell’Unione europea dei vaccini AstraZeneca e Johnson & Johnson sostanzialmente non sanno più che farsene, perché ritenuti insicuri e inefficaci, e li stanno regalando all’estero. Nelle donazioni annunciate, per esempio, Von der Leyen include probabilmente la fornitura di 200 milioni di dosi che AstraZeneca si è impegnata a consegnare entro marzo 2022. Regaleremo i nostri scarti, insomma, ai Paesi che non possono permettersi di rifiutare.

Saranno comunque briciole rispetto ai solenni impegni presi in summit e incontri bilaterali. «Le nazioni ricche avevano inizialmente promesso che qualunque vaccino sicuro sarebbe diventato un “bene pubblico globale”, impegnandosi a distribuire 1,8 miliardi di dosi nei paesi in via di sviluppo» si legge nella lettera aperta al G20 firmata dall’organizzazione umanitaria Oxfam. «A un anno di distanza solo 261 milioni di fiale (il 14%) sono state consegnate e mentre nei Paesi ad alto reddito in media più del 60% della popolazione è stata vaccinata, nelle aree più povere del mondo la percentuale si attesta a meno del 2%». L’appello rimprovera il mancato sostegno alla proposta di moratoria sui brevetti avanzata da Sudafrica e India, in stallo da ormai un anno al Wto soprattutto per l’opposizione dell’Ue. «I Paesi ricchi hanno accumulato per sé più dosi di quante ne abbiano bisogno, e hanno continuato a perpetuare un sistema che permette alle aziende farmaceutiche di non trasferire scienza e tecnologia ad altri potenziali produttori», denuncia Oxfam.

LA BUONA NOTIZIA arriva però dalla farmaceutica Merck. La sua pillola antivirale molnupiravir, attualmente sotto esame dall’agenzia del farmaco statunitense, potrebbe diventare il primo farmaco efficace contro il Covid. L’azienda ha annunciato ieri di aver condiviso il brevetto con il Medicine Patent Pool, un programma delle Nazioni Unite che mette a disposizione senza royalties i brevetti a favore dei paesi a basso reddito. Le aziende locali potranno così “copiare” il farmaco a costi molto inferiori rispetto a quelli imposti nei paesi ricchi. Si calcola che in questi paesi il prezzo del farmaco potrebbe scendere fino a 20 euro per trattamento.