Fisico minuto, carattere gentile e puntiglioso. Ogni volta che si ascoltava un suo intervento, o si leggeva un suo articolo, c’erano spunti per riflettere. Lidia Brisca Menapace è stata con noi del manifesto fin dal 1969. Ricorda, ad esempio, Filippo Maone, memoria storica del gruppo e del giornale, che ebbe il compito di contattarla per primo: «Eravamo ancora nel Pci, non era uscito il primo numero del mensile. Ricordo che andai a trovarla, era la fine del 1968 o l’inizio del 1969, all’Università Cattolica di Milano per raccontarle cosa avevamo intenzione di fare. Lidia si mostrò subito interessata a collaborare con noi. Cosa che fece puntualmente». In quel momento, Menapace era autorevole esponente del mondo cattolico in fermento sessantottino. Divenne subito coordinatrice delle attività su scuola e università del nostro movimento politico. Fu un arricchimento culturale e politico per il gruppo storico del manifesto.

La ricordo in un primo convegno nella scuola del 1970. La differenza con gli altri gruppi della nuova sinistra era che noi non facevamo solo una critica all’istituzione scolastica, ancora troppo impermeabile alla scuola di massa, ma criticavamo il sapere che si trasmetteva. Da lì prese le mosse la proposta manifestina del “metà studio, metà lavoro” che ci caratterizzò nei primi anni settanta: lo studio non poteva rimanere separato dalla realtà (l’impegno sulle “150 ore di studio”, conquista iniziale metalmeccanica, fu conseguenza coerente: il sapere entrava sui posti di lavoro per una riqualificazione individuale e collettiva).

Gli interventi di Lidia erano sempre un richiamo a riempire di contenuti quella strategia. Ricordo anche il suo originale contributo per affrontare la “questione cattolica” in tempi di “compromesso storico” che condizionavano la politica del Pci: lei proponeva con noi il superamento dell’identificazione tra cattolici e Dc, auspicando la scomposizione dell’unità politica dei cattolici. Fu una intuizione che anticipava quello che sarebbe poi avvenuto sia nei referendum su divorzio e aborto sia con la crisi terminale della Dc. I saggi di Menapace restano illuminanti a questo proposito. Come quelli su femminismo (una “scoperta” tardiva per lei e Rossana Rossanda, generazione antica e pure capace di ripensarsi su questo punto) e pacifismo.

Partigiana («Non ho fatto solo la staffetta. Voi uomini pensate che noi donne avevamo solo quel ruolo», amava ripetere), dopo la caduta del fascismo, Lidia – laureatasi intanto alla Cattolica di Milano – scelse la Dc. Nel 1948, era già in dissenso: restò militante delle organizzazioni cattoliche ma non del partito. Il ’68 fece il resto. La rottura si accompagnò con la scelta culturale che si orientò verso il marxismo critico che l’ha sempre accompagnata. Lei poi non entrò nel Pci nel 1984 per un breve periodo prima della svolta occhettiana, come fecero Lucio Magri, Luciana Castellina (per loro era un rientro) e la maggioranza del Pdup. Preferì proseguire l’impegno politico, pacifista, femminista, militando in Rifondazione comunista e nell’Anpi (l’Associazione dei partigiani).

Nel 2006 fu eletta senatrice nelle liste di Rifondazione comunista, partito nel quale ha continuato a militare, trovandosi vicina di banco a Palazzo Madama con Rina Gagliardi (anche lei senatrice “rifondarola”), sua allieva politica fin dai primi anni del manifesto. Un’esperienza quella del Senato durata solo fino al 2008 per l’interruzione anticipata della legislatura. Negli ultimi anni Lidia era quella di sempre a cui piaceva scrivere, raccontare, girare l’Italia rivolgendosi soprattutto alle giovani generazioni. Con il piacevole stile di scrittura di un diario, Menapace ci ha infine narrato i fatti salienti dei suoi oltre novant’anni in un’autobiografia (Canta il fumento. Il romanzo della mia vita, Manni editore).

Lidia era un’instancabile viaggiatrice, sempre disponibile per assemblee e incontri pubblici. A un certo punto, una sorta di leggenda che circolava nel manifesto-Pdup voleva che lei scendesse da un treno per prenderne un altro a dimostrazione del suo generoso concedersi al rapporto con gli altri della comunità politica che aveva scelto. Una delle ultime volte che Lidia è venuta a Roma lo ha fatto per partecipare a un convegno in ricordo di Lucio Magri presso la Fondazione Sturzo. Ci siamo ritrovati come un tempo. Ci disse che stava bene, l’unico acciacco era un calo dell’udito. Dopo cena, come consuetudine, abbiamo aspettato in gruppo che arrivasse l’ora del treno per riportarla a casa.