I toni sono felpati e diplomatici, la sostanza tagliente e arcigna. L’Italia è isolata in Europa e la riunione dell’Eurogruppo di ieri lo ha confermato: tutti i Paesi dell’euro sono stretti intorno alla Commissione e dunque contro l’Italia. Il ministro Tria fa quello che può. Difende la manovra con gli argomenti noti. Sottolinea che la deviazione dai conti, a guardare bene, non è tanto grave come è stata fatta apparire. Indica la via di un «compromesso» da raggiungersi attraverso il «dialogo».

COSA SI POSSA INTENDERE per compromesso però resta oscuro. Tria e Moscovici provano a ipotizzarlo a quattr’occhi. Si potrebbero mettere giù, nero su bianco, «fattori rilevanti» che giustifichino lo sforamento. Per esempio i danni ambientali, via già battuta in passato da Renzi. Il deficit resterebbe al 2,4% ma, giustificandolo in parte con la necessità di fronteggiare l’emergenza ambientale, perderebbe il sapore di affronto aperto all’autorità della commissione. Sempre che i vicepremier italiani, convitati di pietra, accettino il sotterfugio. E sempre che si accontenti l’ala dura della Ue, che mira invece a una vittoria politica chiara, cioè, in concreto, a una revisione del deficit al 2,4%.

L’ALTERNATIVA, squadernata dal vicepresidente Dombrovskis, è netta: «Dovremo tornare alla questione della procedura per il deficit eccessivo relativo al dubito». Una punizione che dovrebbe aggirarsi, in soldoni, sui 4 miliardi di euro l’anno. Il falco lettone non dà ancora la partita per chiusa, concede che «c’è qualche margine», però «il bilancio italiano devia in maniera considerevole dalle regole: dunque serve una correzione considerevole».

NEI PROSSIMI GIORNI il governo si riunirà per iniziare mettere a punto la risposta, che comunque dovrebbe arrivare con un leggero anticipo sulla data indicata dalla commissione. Al momento nulla indica che Salvini e Di Maio siano disposti a cedere anche su un solo decimale in meno. Dunque, salvo ripensamenti in extremis, le posizioni resteranno dall’una e dall’altra parte invariate. La linea illustrata da Dombrovskis è infatti condivisa dall’intera commissione e da tutti i 18 Paesi dell’eurogruppo.

MOSCOVICI È PIÙ MORBIDO ma solo nelle forme, e in ogni caso non si risparmia l’ennesimo affondo da campagna elettorale con un attacco tutto politico: «Salvini rasenta il nazionalismo e la xenofobia». Parole che provocheranno di lì a poco l’immediata e piccata reazione di Conte: «Da un commissario europeo mi aspetto che sia molto cauto nel fare dichiarazioni dalla chiara connotazione politica». Consapevole dell’esagerazione comiziante, Moscovici abbassa però i decibel quando si tratta del conflitto sulla manovra: «Rifiuto la parola ‘punire’. La sanzione può arrivare alla fine ma è l’esito peggiore. Io sono per un dialogo ininterrotto e vigoroso. Spero e credo che avremo una risposta dall’Italia entro il 13 novembre. Il mio interlocutore è Tria e sono persuaso che abbia compreso la necessità che l’Italia agisca nel quadro delle regole».
L’ASPETTO PREOCCUPANTE, per l’Italia, non è la posizione ovvia della commissione ma la assoluta solidarietà con la suddetta dei governi europei. «L’Italia deve dialogare con la commissione», taglia corto l’olandese Hoetzka, rappresentante di uno dei governi più rigidi con Roma. «La Francia condivide la valutazione della commissione, che ha teso una mano all’Italia: auspico che l’Italia la afferri», chiude a sua volta ogni spiraglio il francese Le Maire. «La nostra posizione è chiara sin dall’inizio: ci aspettiamo che le regole siano rispettate», rincara l’austriaco Loeger.

MA SE DA UN LATO quello di ieri è apparso come un minuetto in vista di un esito già noto, dall’altro qualche cambiamento c’è. I toni si sono abbassati, il duello prosegue ma forse non più all’ultimo sangue. Sulla solidarietà alla commissione non ci sono crepe nell’Eurogruppo, ma alcuni Paesi, tra cui Portogallo, Spagna e soprattutto Germania, non intendono portare il conflitto alle estreme conseguenze. È la soluzione a cui mirano da settimane il presidente Mattarella e lo stesso Draghi: procedura d’infrazione sì, ma senza caricarla di troppi significati. Perché l’esplosione dell’Italia, oggi, non è nell’interesse di nessuno.