La pattuglia dei film francesi alla 75a biennale è nutrita. Sulla carta, il programma propone, trasversalmente, 32 film francesi tra corti e lunghi. D’altra parte, che cos’è un film francese? Non è una domanda metafisica, ma pratica. Sono film di un autore francese? Se così fosse, la lista andrebbe notevolmente decurtata. Cadrebbe, per fare un esempio, il nuovo film dell’israeliano Amos Gitai, fuori concorso con A Tramway in Jerusalem; ma anche molti titoli interessanti della sezione Orizzonti. Un buon segnale per la politica francese sul cinema che consolida il rapporto con autori maturi e ne attira di giovani.

Non è quindi nemmeno una questione di produzione, che anche in questo caso molti titoli resterebbero fuori: si tratta di co-produzioni con l’Ungheria, la Spagna, Israele. E ovviamente con l’Italia, che insieme alla Francia ha prodotto, tra gli altri, Capri Revolution di Mario Martone e Una storia senza nome di Roberto Andò, rispettivamente in e fuori concorso. Segno che quel legame che esisteva negli anni’60 e ’70, e che si era in parte perso, si riannoda, anche se con altri metodi e presupposti.

E la lingua ? Anche quello della francofonia non è un criterio discriminante. La coproduzione italo-nordamericano-francese di What Are You Gonna Do When the World’s on Fire? di Roberto Minervini è in inglese. E sempre in inglese è l’atteso western di Jacques Audiard. In verità, le categorie non aiutano né a definire né a capire; bisogna invertire il punto di vista partendo piuttosto dai casi singoli, chiedendosi in che modo da questi titoli esce fuori un ritratto del cinema esagonale. È un buon motivo per andare al Lido a frugare, nel fitto programma di quest’anno, tra le varie selezioni questa trentina di titoli.

L’attesa è ovviamente fortissima per i due lungometraggi di Olivier Assayas e di Audiard. Sono due autori tra loro molto diversi. Da sempre Assayas segue una politica errante ed eclettica, prendendo in prestito elementi sia dal cinema americano che dal cinema asiatico, per fonderli in un prodotto personale, legato culturalmente al cinema d’autore francese e privo di un modello produttivo unico.
Audiard invece è stato ai suoi inizi molto più classico e costante, sia nei temi che nel modello produttivo. Figlio dello sceneggiatore per eccellenza del cinema popolare francese, e per molti anni sceneggiatore a sua volta, cerca nei suoi film di valorizzare dei personaggi ordinari, lontani dall’universo intellettuale e cosmopolita nel quale è a suo agio Assayas.

Oggi queste due traiettorie sembrano, almeno parzialmente, incrociarsi. In parte dal lato di Assayas – che con Doubles Vies annuncia un film meno internazionale del solito. Audiard, già nel precedente Dheepan aveva convinto i suoi produttori a fargli girare un film con un cast di sconosciuti e parlato in tamil. Qui tenta un’altra forzatura alle regole della produzione dei film ad alto budget, imbracciando un genere, il western, poco congeniale alla produzione d’oltralpe che non lo ha mai sfruttato, nemmeno nella versione europea (o spaghetti, come dicono loro) se non al proprio margine e in maniera per lo più metaforica. Vedremo se con Les Frères Sisters il genere per eccellenza entrerà nel cinema francese. Oppure no.