Stabilmente instabili non è un paradosso, ma la condizione reale dei Tiromancino. E in qualche modo la loro salvezza. Perché a dispetto di numerosi cambi di formazione sono arrivati ai ventidue anni di attività, grazie a uno stile in cui la canzone pop si è sempre un po’ sottratta dai cliché del genere mescolando elettronico e acustico, ritornello di facile fruizione radiofonica a intuizioni tutt’altro che scontate. E così a quattro anni da L’essenziale, su etichetta Sony ritornano sulla scena con nove pezzi originali, una cover dei Madness e un titolo che più cinematografico di così – Federico Zampaglione ha d’altronde intrapreso una parallela carriera registica – si muore: Indagine di un sentimento.

Partiamo da qui: un titolo che è una sorta di dichiarazione d’intenti, un mettersi a nudo…

Infatti (risponde Federico, ndr) è quello che ho fatto nei testi. Chi vuole capire qualcosa di me l’ho messo nero su bianco nelle canzoni: la mie relazioni (è compagno da anni dell’attrice Claudia Gerini, ndr), mia figlia. E stato un periodo complicato, durante la registrazioni è morta mia madre e raccontare quello che ho vissuto mi è stato di aiuto. Lo dovrebbero fare tutti, indagare il sentimento e interrogarsi su come ci sentiamo. E un modo per sopravvivere in una realtà non sempre facile.

Musicalmente i Tiromancino hanno sempre cercato di mescolare il pop d’autore con suoni essenziali salvo rivestirli di sonorità elettroniche. Nel nuovo disco c’è una forte componente orchestrale, una novità...

Sì (risponde Francesco, che ha curato arrangiamenti e musiche, ndr) la nostra caratteristica è stata sempre quella di contaminare, utilizzando campionatori e prendendo a prestito certi linguaggi dell’hip hop. Qui c’è molto gusto per l’orchestrazione, forse dovuto al fatto che sono coinvolto anche nella realizzazione delle colonne sonore dei film di Federico….

Nel disco c’è una curiosa e intrigante versione di «I never knew your name» dei Madness, tradotta letteralmente in «Mai saputo il tuo nome». Come mai questa scelta?

Ero in macchina – spiega Federico – quando è partita la melodia della canzone che mi ha colpito all’istante. Soprattutto il testo, una storia folle quanto sensata. Così abbiamo deciso di riadattarla, inciderla in italiano e l’abbiamo spedita ai Madness, perché dovevamo avere la loro autorizzazione. Che è arrivata subito, loro si sono dimostrati entusiasti e chissà che in futuro non ci sia spazio per altre collaborazioni…

Un solo ospite nel disco, Pierpaolo Capovilla del Teatro deglli Orrori in «Per una notte di marzo»…

E molto che li ascoltiamo, e di Paolo apprezziamo anche la capacità di stare sul palco, e i suoi reading. Ci è sembrato quindi giusto contattarlo per questo pezzo. Per noi è fondamentale collaborare con artisti fuori dalla scena mainstream e coinvolgerli nei nostri lavori. E’ già successo in passato con successo con Manuel Agnelli, gli Almamegretta e recentemente con Rocco Hunt.

Il disco si chiude con Re Lear, un monito a indagare sui propri sentimenti e viverli fino in fondo…

L’ho scritta insieme a mio padre Domenico stimolato da Michele Placido che in quel momento stava lavorando con me sul set di Tulsa (il suo secondo film del 2009, ndr). Era impegnato a teatro e coinvolto, direi quasi ossessionata da questo personaggio. L’ho trovato perfetto per chiudere un disco che indaga sul sentimento, il personaggio shakeaspeariano per eccellenza, che non ha saputo essere onesto con i suoi sentimenti finendone a sua volta travolto.