«Un voto del Parlamento europeo sul congelamento del negoziato di adesione della Turchia all’Unione europea non avrà alcun valore per noi, qualunque sia l’esito». Sono queste le secche parole che ha pronunciato ieri il presidente turco Erdogan, mentre a Strasburgo gli europarlamentari erano riuniti per dibattere su una risoluzione che propone la sospensione dei negoziati di adesione della Turchia.

Il voto sulla risoluzione è previsto per oggi e se dovesse essere approvata potrebbe congelare temporaneamente i negoziati di adesione. Solo due giorni fa il presidente turco aveva fatto espliciti riferimenti a una possibile richiesta d’ingresso nell’associazione della Cooperazione di Shangai di cui fanno parte Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan, nella quale Ankara al momento è considerata un partner a livello di dialogo.

Sono dieci anni che il negoziato è bloccato da veti di alcuni paesi dell’Unione e, dunque, pensare di congelare un negoziato già di fatto bloccato da un decennio è del tutto ridicolo e irresponsabile. Non fosse altro perché non vi è più niente da bloccare; è già tutto fermo. Su 35 capitoli negoziali, dal 3 ottobre del 2005, giorno dell’avvio del negoziato, uno solo è stato chiuso. Mentre, dal 1999 al 2006, Ankara aveva varato ben 8 pacchetti di armonizzazione del proprio ordinamento giuridico civile e penale, grazie all’agenza riformatrice imposta dall’Ue nel percorso di integrazione. Quel periodo di intensa attività riformatrice veniva definito allora dalla stampa e dall’establishment come una «Rivoluzione per l’Unione europea».

In quegli anni, il comportamento dell’Ue nei confronti della Turchia fu demenziale, bloccò a monte il negoziato dopo averne votato l’avvio all’unanimità apponendo veti a 17 capitoli. Il leader storico del Parito radicale, Marco Pannella, recentemente scomparso, già nel 2004, prima dell’avvio dei negoziati d’adesione, ammoniva: «Non intendiamo aspettare dieci anni l’ingresso della Turchia, l’urgenza di avere Ankara tra le capitali europee esiste ʺfin da ieriʺ e oggi non possiamo sapere che cosa saranno la Turchia, il Mediterraneo e l’Europa nel prossimo decennio». Parole profetiche.

E anche ora che l’opposizione nel paese sta subendo un massacro e invoca l’apertura di quei capitoli sui diritti umani, l’Ue dimostra una totale chiusura e indifferenza alle suppliche esternate in tutte le sedi dal leader del maggior partito d’opposizione del paese, il socialdemocratico Kemal Kılıçdaroglu, presidente dello storico Partito repubblicano del popolo Chp, fondato da Mustafa Kemal Atatürk.

«Perché non li aprite? Noi vogliamo una magistratura indipendente. Aprite immediatamente i capitoli 23 e 24! L’abbiamo detto in tutti i modi, a tutti, in Occidente e in Europa. Che comincino subito i negoziati!», ha detto Kılıçdaroglu al settimanale tedesco Die Zeit. Parole già pronunciate in un incontro avuto con l’ex primo ministro svedese Carl Bildt e con il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz.

Parole che altri esponenti del Partito repubblicano del popolo, così come i leader del Partito di sinistra libertaria e filocurdo (Hdp) hanno ribadito alla delegazione del Partito socialista europeo che si è recentemente recata in missione in Turchia in seguito agli arresti di dieci parlamenti dell’Hdp.
Storicamente il movimento curdo è stato da sempre il più forte sostenitore dell’ingresso della Turchia nell’Unione europea e lo stesso leader carismatico condannato all’ergastolo, Abdullah Öcalan, si è spesso espresso in passato per l’integrazione. Lo stesso programma elettorale del partito filocurdo HDP aveva posto al centro della sua agenda politica l’adesione all’Ue.

Non passa giorno che le opposizioni in Turchia non si dichiarino contrarie all’arresto del dialogo con l’Unione europea. Ritengono che la mancata riapertura del negoziato rafforzi Erdogan che sta giocando all’interno del suo paese la carta antioccidentale e antieuropeista intrisa di una retorica nazionalista per chiamare in suo sostegno tutto l’elettorato deluso dal comportamento dell’Ue. Temono che il congelamento del negoziato li isoli ancor di più consegnandoli definitivamente alla repressione che il presidente turco ha scatenato per liberarsi di ogni dissenso.

Aprire i capitoli negoziali non significa accesso immediato, ma si aprirebbe un essenziale spazio politico di confronto in cui l’Ue potrà ingaggiare un dialogo serrato e critico con il governo e con la società civile turca sui diritti umani, sullo stato di diritto e sulla democrazia. Abbandonare dunque unilateralmente il rapporto con questo paese sarebbe una atto di grave irresponsabilità e di assoluta mancanza di intelligenza strategica, e un disastro per l’Ue e per la Turchia, in particolare per l’opposizione democratica del paese.