Il grande numero di medici e infermieri contagiati è uno dei dati più preoccupanti dell’epidemia italiana di coronavirus.

All’Istituto superiore di sanità, Paolo D’Ancona è il coordinatore del gruppo di lavoro «Prevenzione e controllo per le infezioni». In questo ruolo cruciale, al fianco del capo della protezione civile Angelo Borrelli, ha detto che sui tanti medici malati non sappiamo nemmeno se il contagio è avvenuto in ospedale o, per assurdo, in famiglia. Le sue parole sono state criticate fino alla richiesta delle dimissioni, perché è sembrato che sminuisse i rischi dei medici. «Non è così», spiega D’Ancona. «Ci preoccupa tantissimo che si siano ammalati così tanti medici. Ma per proteggerli dobbiamo sapere come si sono infettati. I medici si sono sicuramente infettati in servizio, ma intendevo spiegare che dobbiamo indagare maggiormente sulle cause specifiche: ad esempio, stavano visitando un paziente Covid-19, oppure uno di cui non conoscevano la positività? Serve per la cosiddetta “valutazione dei fattori di rischio”. Solo se riusciamo a caratterizzare le cause del contagio, per esempio la mancanza delle mascherine, possiamo intervenire. Per ora ne sappiamo poco. Non ci interessa stabilire responsabilità individuali, è un approfondimento per capire cosa avremmo potuto fare per evitarlo. Ma è ovvio che il loro lavoro in questo momento li sta esponendo a un rischio».

In questi giorni si discute molto della necessità di aumentare il numero dei test.

Tutti noi vorremmo che funzionasse maggiormente la ricostruzione della catena di contatto, per mettere in quarantena i contatti dei casi. Forse invece ci si è concentrati troppo sui casi più gravi, anche perché all’inizio dell’epidemia eravamo nella coda della stagione influenzale e i sintomi lievi potevano essere male interpretati. Invece bisogna intercettare i casi con pochi sintomi: una febbre, qualche sintomo respiratorio anche leggero.

Abbiamo sbagliato strategia?

Non è una questione di strategia. La Lombardia è stata la prima regione colpita dal virus e semplicemente è stata sopraffatta. Fare tanti test non dipende solo dal numero di tamponi: servono le persone che li eseguono in laboratorio e quelle che vanno a casa a fare il tampone presso i malati, che devono essere visitati a domicilio. Si può pensare a strategie diverse per fare un maggior numero di tamponi laddove serva, magari con quei centri in cui si fa il test senza scendere dall’automobile.

Non si può aumentare il numero di laboratori?

Credo che quello che si poteva fare sia stato fatto in Lombardia. Non è un test facile come quello di cui si parla in questi giorni per la ricerca degli anticorpi, che richiede solo un’ora ma che non è attendibile come il tampone.

Allora non si può fare nulla per fare più test?

Non focalizzerei l’attenzione sulla Lombardia. Della necessità di un migliore tracciamento dei contatti e di un maggior numero di test dobbiamo tenere conto soprattutto nelle regioni in cui i numeri si possono gestire meglio. Cercherei di usare la lezione della Lombardia per pianificare la risposta in queste regioni in funzione della loro capacità diagnostica. Questo è il messaggio che stiamo passando ai nostri referenti locali.

Su quali scenari futuri state lavorando per contenere l’epidemia?

Per ora stiamo cercando di capire quanto sarà sostenibile il lockdown, e quale sia l’impatto delle misure adottate dal governo. Ci aspettiamo di capirlo la settimana prossima. Poi il governo, supportato dal Comitato tecnico scientifico, prenderà le sue decisioni.

Come si stanno muovendo gli altri Paesi?

Ogni nazione sta rispondendo in maniera indipendente. Certo, tutti seguono le linee guida dell’Oms e del Centro Europeo per il controllo delle malattie. Ma non conosciamo in dettaglio le strategie dei vari paesi. In parte è comprensibile, anche noi stiamo cambiando strategia ogni settimana, è una situazione in evoluzione. Però non abbiamo l’esatta conoscenza delle misure prese da ogni nazione in modo comparativo, come piacerebbe a tutti. Va detta una cosa: gli altri paesi in questo momento seguono l’Italia. Possono vedere quello che succede in base alla nostra esperienza e imparare dalle nostre strategie e dalle nostre difficoltà.