La politica divide, il baseball unisce. Almeno così avviene in Texas, a pochi lembi di terra dal Messico, con una storia che va oltre quel Muro così ostinatamente desiderato da Donald Trump. Nello stadio Uni-Trade, indossano berretti e guantoni i Tecolotes de Los Dos Laredos, squadra di Nuevo Laredo, a un passo dal Rio Grande, una delle compagini più blasonate in Messico, perno della Maxican League Baseball. Sulle tribune, un bannersignificativo, recita: «Dos naciones, un equipo» (due nazioni, una squadra), ma si trova anche in inglese. I Tecolotes giocano infatti sia nella vicinissima cittadina del Texas (a sette chilometri di distanza) almeno la metà delle partite di campionato, mentre l’altra metà presso il Nuevo Laredo Taumalipas, in Messico. In una delle bordertown d’America, definita pericolosa da TheDonald, con i cittadini che hanno però mostrato di non apprezzare l’idea di quintali di cemento armato messo assieme per separarli dal Messico.

Dunque, una squadra che gioca in casa in due Paesi diversi. Giocatori di frontiera, l’idea è venuta al patron dei Tecolotes, Josè Antonio Mansur, uomo d’affari messicano che durante lo scorso inverno ha trasferito i suoi ragazzi da Veracruz a Nuevo Laredo. Lo sport che unisce, certo, ma anche il marketing e un buon flusso di dollari hanno fatto il resto: in Texas ne circolano di più, ci sono sponsor di peso, circa 208 miliardi di dollari in scambi commerciali nel 2017. In più, quasi 40 mila persone attraversano il confine, a piedi, in auto, bus, camion. E sempre a Laredo il 95% della popolazione è ispanica. Mentre a Nuevo Laredo c’è violenza, sopraffazione, rapine, criminalità che tengono i tifosi lontani dai Tecolotes. È una storia di confine, avvolta da certezze, leggende, storie verosimili. E di vicinanza, intimità, unione. Ed è toccato al baseball, anche se il compito forse sarebbe spettato al football americano, alla Nfl, oppure al basket Nba, con i tanti atleti che nel corso degli ultimi due anni hanno composto un fronte compatto contro le politiche intolleranti di Trump. Fino a adesso il baseball è sempre stato in disparte, considerato lo sport dei bianchi, non ha mai alzato la voce contro le politiche discriminanti della Casa Bianca.

Una posizione neutra, non passata certamente sottotraccia nell’opinione pubblica. Ma non in Texas, non al confine, perché: «Qui non si fa politica, come a Washington o a Città del Messico» ha spiegato al New York Times, Enrique Rivas, sindaco di Nuevo Laredo. E quindi sugli spalti del piccolo stadio dei Tecolotes, lo Uni-Trade, prima del via alla partita ci si piazza in piedi per ascoltare l’inno nazionale americano e poi quello messicano. E anche sul cibo, doppia opzione, con hamburger e pop corn in vantaggio sui tacos, piccante, fette di mela con salsa di tamarindo.