Ogni giorno che passa è un nuovo, diverso, scenario in Libia, dal punto di vista delle alleanze e delle forze in campo. Ogni giorno che passa cambiano le speranze di una celere liberazione dei due ostaggi italiani, i due tecnici della ditta Conicos di Mondovì, rapiti lunedì scorso nei pressi dell’oasi di Ghat, nell’estremo lembo della regione del Fezzan ai confini con l’Algeria, dove nelle ultime ore sono sbarcati gli «007» dell’Aise, il servizio d’intelligence estero italiano, per cercare di intavolare una trattativa con i «piccoli criminali di fuori città» indicati dal sindaco di Ghat come autori del ratto.

Danilo Calonego e Bruno Cacace sono stati infatti catturati in un momento particolarmente delicato della caotica situazione libica, che si protrae dal 2011, successivamente alla caduta del dittatore Muammar Gheddafi, con una guerra civile strisciante tra le due entità statali di Tripoli e di Tobruk. In questa guerra fratricida si è inserito nel 2013 il tentativo di incunearsi, anche geograficamente tra Tripolitania e Cirenaica, dell’Isis, foraggiato dall’estero e irrobustito da foreign fighters nella città costiera di Sirte, dallo scorso primo agosto bombardata dall’aviazione Usa a dare man forte alle milizie libiche di Misurata fedeli al governo di accordo nazionale di Fayez al Sarraj.

La zona desertica dove sorgono i pozzi petroliferi del Fezzan e dove i due tecnici sono stati catturati è, a sentire l’autodifesa dei vertici della ditta Conicos per la mancanza di scorta armata della loro auto, «un’area relativamente tranquilla». Questo spiegherebbe perché proprio il giorno della consegna dei lavori del nuovo aeroporto di Ghat, in costruzione dal 2012, – il 19 settembre – la jeep con a bordo il musulmano bellunese Calonego, il cuneese Cacace e il collega italo-canadese fosse «scortata» soltanto dall’autista libico armato.

Il guidatore, poi ritrovato legato a un albero, ha scelto però di non reagire «per evitare il peggio». Questa la ricostruzione data da Stefano Bongiovanni e Giorgio Vinai, i manager della Conicos che saranno su questo presto sentiti dal pm di Roma Colaiocco che indaga sul rapimento. In passato i due hanno avuto altri «guai» da spiegare ai magistrati, per altri lavori, essendo stati inquisiti nell’inchiesta Minotauro sulle infiltrazioni della ’ndrangheta e della mafia in Piemonte e per una vicenda di riciclaggio.

Dalla Libia le informazioni sui due rapiti arrivate ieri sono invece da leggere nella chiave dei rivolgimenti di fronte. Il portavoce delle milizie chiamate «esercito nazionale libico» guidato dal generale Belqasim Khalifa Haftar, fedele al governo di Tobruk, ha detto al sito arabo Al Wasat che il rapimento dei due italiani «reca le impronte di al Qaeda». è stato però prontamente smentito dal sindaco della città di Ghat, Muhammad Qomani Saleh, legato al governo di Sarraj a Tripoli che collabora con gli uomini dell’intelligence italiana arrivati sul posto.

C’è da dire che per il generale Haftar ieri non è stata una giornata positiva. Una settimana fa si è impadronito dei quattro principali porti petroliferi sulla costa, nel tentativo di accreditarsi politicamente lunedì ha ceduto alla compagnia petrolifera libica Noc, che sostiene il governo rivale di Tripoli, la gestione dell’export petrolifero e ieri è partita la prima nave cisterna battente bandiera maltese alla volta dell’Italia dal terminal di Ras Lanuf. Haftar si accontentava così di aver tolto di mezzo le guardie petrolifere al comando di Ibrahim Jadhran, tra l’altro ferito ad una gamba, e di mantenere l’appoggio dell’Egitto e della Francia. Ieri da Tripoli è arrivata la contromossa del Consiglio di Stato che ha avocato a sé il potere legislativo in mano al parlamento di Tobruk, facendo gridare lo stesso al «golpe».

La risposta è arrivata in serata da New York dove sulla Libia si è svolto un vertice a tre con il ministro italiano Paolo Gentiloni, il premier di Tripoli Fayez Sarraj e il segretario alla Difesa Usa John Kerry. Dal summit è arrivata la richiesta pressante di arrivare nel 2017 alla stesura e approvazione di una nuova Costituzione e alla creazione di un nuovo «governo di riconciliazione». Nel frattempo dopo tre anni di contenzioso giudiziario alle Bermuda il fondo sovrano libico Lia, branca di Tripoli, ha ottenuto lo sblocco di 53,8 miliardi di dollari. Il Lia resta poi in attesa della fine della causa a Londra per altri 1,2 miliardi cui si sono impossessate Goldman Sachs e Societé Génerale.