Zaranj, Shiberghan, Taloqan, Sar-e-Pul, Kunduz, Aibak. È clamorosa ma non inaspettata l’avanzata dei Talebani, che in pochi giorni hanno inanellato importanti conquiste territoriali urbane. Dopo aver occupato venerdì scorso Zaranj, il capoluogo della provincia sud-occidentale di Nimruz, in rapida successione hanno conquistato 5 capoluoghi di provincia nel Nord del Paese, dove nei mesi scorsi avevano già consolidato la loro presenza.

Nel Nord, i Talebani prima hanno preso Shiberghan, capoluogo della provincia di Jawzyan e città natale del signore della guerra Abdul Rashid Dostum. Poi domenica hanno conquistato Taloqan, nella provincia di Takhar, a seguire Sar-e-Pul, nell’omonima provincia appena sotto Shiberghan, e (anche se non completamente) la città di Kunduz. Nodo strategico di rotte commerciali.

Lunedì è stata la volta di Aibak, capoluogo di Samangan, a sud-ovest di Kunduz. Mentre scriviamo i Talebani provano l’assalto anche a Faizabad, nel Badakhshan, e si avvicinano a Mazar-e-Sharif, vero bottino nel Nord. Non mollano la presa neanche sulle città accerchiate da giorni: Herat, a occidente, nel sud Kandahar e Lashkargah.

A eccezione di Kunduz, tutti i centri urbani conquistati nel Nord sono di piccole dimensioni, ma hanno un’importanza strategica. Perché posizionati nelle aree confine con l’Asia centrale, perché importanti snodi commerciali, perché ricchi di riserve minerarie o perché dall’alto valore simbolico, come Shiberghan. La cui caduta equivale a un colpo durissimo per Dostum, la cui divisa militare è finita nelle mani degli studenti coranici che continuano a postare foto sui canali social svillaneggiando il maresciallo rientrato in Afghanistan per vedersi soffiare territori, divisa e cappello.

Ma è un segnale inequivocabile anche per tutti gli altri ex leader jihadi, i signori della guerra che negli anni Ottanta hanno resistito all’occupazione sovietica, nei Novanta hanno alimentato la guerra civile e poi, da vecchi e duri oppositori dei Talebani, sono diventati imbolsiti uomini di potere.

È emblematica la foto resa pubblica ieri dall’Arg, il palazzo presidenziale di Kabul dove siede il presidente Ashraf Ghani, bestia nera dei Talebani che invocano da mesi le sue dimissioni per un governo a interim che ora potrebbe stargli troppo stretto. Un circolo a metà, 16 sedie con altrettanti uomini politici, metà di loro con trascorsi da «signore della guerra».

Lo sguardo corrucciato, hanno deciso «di coordinare, rafforzare ed equipaggiare rapidamente le forze di sollevazione popolare» affinché aiutino le forze di sicurezza. Le città cadono nelle mani dei Talebani come birilli e a Kabul ancora si tergiversa nelle riunioni pletoriche, ricorrendo all’idea – foriera di abusi – di armare le milizie locali, ultima risorsa per un governo le cui forze di sicurezza sono scoraggiate, mal equipaggiate, sovraccaricate di compiti.

La conquista del Nord è uno schiaffo ai leader della cosiddetta Alleanza del Nord, parte dei quali ripresi nella foto di cui sopra. I Talebani mandano loro un messaggio: il vostro tempo è finito. In questi venti anni, mentre i leader jihadi gonfiavano le tasche e occupavano posizioni ministeriali, i Talebani gonfiavano le tasche anche loro (a volte con gli stessi commerci), ma conducevano la guerriglia sul campo.

Si dicono fieri difensori della sovranità nazionale ma non hanno mai disdegnato il sostegno del Pakistan e di altri attori regionali. Ora vogliono impedire che quell’Alleanza diventi un ostacolo. Da qui, l’efficace strategia in due tempi. Prima i distretti rurali, periferici del Nord, con un progressivo accerchiamento dei centri urbani; poi l’assedio delle città, a volte con battaglioni provenienti da più direzioni, come avviene ora per Mazar-e-Sharif.

Ma i Talebani dovranno presto affrontare due gravi problemi, uno interno e uno «esterno». Quello interno: la conquista territoriale ha rafforzato la componente militare del movimento, che era stata abilmente condotta dal leader Haibatullah Akhundzada ad accettare la sua linea politica: accordo con Washington e mantenimento dei canali diplomatici. Ora che anche Kabul non è lontana dalle mire dei militanti, è da vedere chi prevarrà nel dettare la linea sul «che fare».

L’altro problema è più decisivo. Nella loro avanzata i Talebani hanno macinato territori su territori, ma hanno anche macinato e distrutto vite umane, raccolti estivi, contribuito a sradicare donne e bambini dalle loro case, innescato un’enorme spinta migratoria. Continuano a dire ai cittadini e ai funzionari governativi di non preoccuparsi. Ma i resoconti delle loro conquiste – dai distretti periferici di Kandahar al distretto hazara di Malistan, nella provincia di Ghazni – sono infarciti di abusi, rappresaglie, omicidi mirati, documentati tra gli altri da Human Rights Watch e dall’Afghanistan Independent Human Rights Commission.

Bravi a conquistare i territori, non gli afghani e le afghane. La cui vita è diventata ancora più vulnerabile di prima. La linea del fronte si è spostata dentro le città. A meno che non ci sia un cessate il fuoco, ha sostenuto Deborah Lyons, rappresentante speciale dell’Onu per l’Afghanistan, il risultato sarà «una catastrofe senza precedenti nella storia».