Muscoli talebani, armi straniere. È stata una giornata di parate militari ed esibizione di forza quella con cui ieri i Talebani hanno cementato la presa del potere in Afghanistan.

GLI STRANIERI sono fuori dal Paese, ma i loro mezzi militari servono a inviare un messaggio alla popolazione: siamo qui per restare e governare. Con ogni mezzo. Il governo ancora non c’è, ma Sher Mohammad Abbas Stanekzai, vice capo dell’Ufficio politico dei Talebani, ha assicurato che verrà annunciato entro pochi giorni.

Forse due. Lo si dice dal 15 agosto, da quando Kabul è caduta in mano ai turbanti neri. Ma questa volta potrebbe essere vero. Due giorni fa una lunga fila di auto si è diretta nella provincia di Zabul, per rendere omaggio alla tomba del fondatore del movimento, mullah Omar. Un atto simbolico per segnare la continuità tra il primo Emirato islamico e il nuovo governo che si sta per insediare. Lunedì si è conclusa una riunione di tre giorni a Kandahar con alcuni esponenti di peso.

SAREBBE STATA PRESIEDUTA dal «comandante dei fedeli», mullah Haibatullah Akhundzada. Il leader supremo che molti davano per morto, qualcuno continua a dare per malato ma che i Talebani assicurano di essere vivo e vegeto e pronto a prendersi la più alta carica del nuovo governo.

Che potrebbe essere costituito da una sorta di Assemblea consultiva, composta da 12/15 persone, con potere esecutivo e di orientamento, sotto la quale mantenere la macchina istituzionale della defunta Repubblica islamica, pur chiamandola diversamente. In attesa di dare forma a una nuova struttura istituzionale e rimettere mano alla Costituzione. Quella attuale è il frutto degli incontri tenuti nella Loya Jirga costituzionale del 2003, quando – esclusi dai colloqui i Talebani sconfitti – prevalse l’idea di un sistema presidenziale centralizzato, modellato sulla Costituzione del 1964, contro l’ipotesi, favorita dal blocco «tagico», di un sistema di governo meno centralizzato, che includesse la carica del primo ministro.

LA PROPOSTA DEGLI ESPONENTI della cosiddetta Alleanza del nord era un modo per arginare l’egemonia dei pashtun, sempre al potere come reggenti dello Stato-nazione dalla sua fondazione, contestata dagli altri blocchi etnico-politici. A cui ora andranno le briciole, nonostante le rassicurazioni di facciata dei Talebani.

Stanekzai, tra i negoziatori talebani che hanno ottenuto l’accordo bilaterale con gli Stati Uniti firmato a Doha nel febbraio 2020, assicura che il governo sarà inclusivo. Non tanto da assegnare posti ministeriali alle donne, né da includere i volti conosciuti della defunta Repubblica islamica, a quanto pare. Prima di annunciarne la nascita, i Talebani vogliono «risolvere» la questione della valle del Panjshir, l’unica area rimasta fuori dal loro controllo.

FALLITI I TENTATIVI di negoziato, i Talebani hanno nominato un loro governatore e lunedì sera hanno sferrato un’offensiva militare. Inaugurare un governo che si dice sovrano con un pezzo di territorio in cui si pratica la resistenza sarebbe un colpo duro per gli studenti coranici. Che ieri hanno accolto con soddisfazione il primo volo proveniente dall’esterno, dopo il ritiro dell’ultimo soldato Usa.

PROVENIVA DAL QATAR e trasportava personale tecnico. Indispensabile per rimettere in funzione l’aeroporto, dal cui ingresso è stata debitamente eliminata la grande immagine che raffigurava il comandante Massud, «leone del Panshir».

L’accordo per la gestione dello scalo non è ancora stato raggiunto. Ma la Turchia continua a tessere il dialogo. Ieri a Doha l’ambasciatore turco ha incontrato la delegazione talebana. Il summit ha prodotto comunicati concilianti. Mentre il Qatar continua ad accreditarsi come paese-mediatore, dopo aver ospitato i negoziati a Doha e aver accolto l’Ufficio politico dei Talebani, ai tempi in cui il presidente afghano era Karzai. Il Qatar non nasconde la preoccupazione che il governo dei Talebani, a cui Doha ha offerto una sponda importante, possa rivelarsi una catastrofe.

Non tanto per i diritti negati di donne e uomini nel Paese, ma per la tenuta stessa del sistema. Che potrebbe collassare presto, senza gli aiuti internazionali. Così da una parte il Qatar si appella ai Talebani affinché garantiscano il passaggio sicuro per quanti, minacciati, vogliano lasciare l’Afghanistan. Dall’altra chiede alla comunità internazionale di fare i conti con la realtà sul terreno. Dove è in corso una gravissima crisi umanitaria, come ricordato ieri dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.

I Talebani ne sono consapevoli e proveranno a sfruttarla a proprio vantaggio, invocando soldi e riconoscimento. Per ora però esibiscono i muscoli. A Kandahar, la parata militare di ieri è durata ore. In fila, i mezzi militari sottratti all’esercito afghano o agli Stati Uniti. Ai lati, folle di persone che sventolavano la bandiera bianca e nera dei turbanti neri.