La città di Kunduz, capoluogo dell’omonima provincia nel nord dell’Afghanistan, è finita ieri sotto il controllo dei Talebani. La conquista, clamorosa, avviene nel primo anniversario dell’insediamento del governo di Ashraf Ghani e colpisce una città fondamentale, crocevia dei traffici commerciali con i paesi dell’Asia centrale, la prima a essere occupata dai barbuti dal 2001.

Le notizie sui combattimenti si sono alternate per tutta la giornata di ieri, fino a quando Sediq Seddiqi, portavoce del ministero dell’Interno, ha ammesso che «la città di Kunduz è collassata nelle mani dei Talebani». Gli uomini di mullah Mansour – il leader che ha sostituito mullah Omar come guida degli studenti coranici – hanno sferrato un attacco multiplo, occupando gli uffici del governatore, il quartier generale dell’esercito e dei servizi segreti. Una volta raggiunta la prigione centrale, hanno liberato i detenuti. Nel centro della città, hanno rimosso i poster dei leader politici considerati “anti-talebani”. I pezzi grossi dell’amministrazione provinciale e dell’esercito governativo sono fuggiti a bordo di aerei ed elicotteri, così come hanno fatto i funzionari delle Ong e dell’Onu. Ai civili, i Talebani hanno inviato un messaggio pubblicato anche sul sito ufficiale dell’Emirato islamico: «non abbiate timore per la vostra vita e le vostre proprietà, le rispetteremo».

A chi finora ha lavorato per il governo di Kabul, viene fatta un’offerta: «non vogliamo vendetta, veniamo con un messaggio di pace». Fate abiura e verrete perdonati. La conquista di Kunduz potrebbe durare poche ore o pochi giorni, ma i Talebani sanno che è un banco di prova per dimostrare alla popolazione che sono cambiati. Che di loro, ora, ci si può fidare. Mentre al governo di Ashraf Ghani mandano a dire: «le conquiste dei mujaheddin vanno accettate come un dato di fatto. Pensate al vostro futuro».