Cottarelli in questi giorni ci ha informato che, con la spending review, la sanità avrebbe dovuto dare il suo contributo di risparmi e che una parte di questi (si è parlato di 1 o al massimo 2 miliardi di euro nel triennio) avrebbero contribuito a sua volta alla riduzione del cuneo fiscale. Le Regioni immediatamente hanno protestato dicendosi disposte a dei risparmi ma a due condizioni: che fossero loro a gestire la questione (patto per la salute) e che i soldi risparmiati non venissero impiegati per la riduzione del cuneo fiscale ma restassero alla sanità. L’altra sera il primo ministro a Porta a porta spiazza tutti accettando le obiezioni delle regioni. Non conosco i motivi che hanno indotto Renzi ad accontentare le Regioni, né voglio fare illazioni, ma ritengo il suo o un errore o un atto demagogico o peggio una ingenuità calcolata.

I risparmi che le Regioni sono disposte a garantire ammonterebbero a 10 miliardi in 3 anni, che però è meno di quello che si spende per la medicina difensiva in un anno, uno degli sprechi conclamati più odiosi del nostro sistema. I risparmi potenziali, eliminando diseconomie, anti economie, malaffare, abusi sono molti di più. Evidentemente le Regioni vogliono risparmiare il meno possibile per mantenere la loro rete di consenso. E già sottostimare e contraffare il risparmio possibile di questi tempi sia da parte delle Regioni che da parte del premier non mi sembra serio. Esiste o no un problema di ripresa?

C’è un altro aspetto delicato: alle necessità della spending review, del cuneo fiscale, e della ripresa, le Regioni, contrappongono l’argomento etico di fare più salute: i soldi risparmiati in sanità si potrebbero usare per rifinanziare i livelli essenziali di assistenza (Lea). Argomento forte, accattivante, ma che, per chi conosce le Regioni puzza terribilmente di demagogia. Sono le Regioni che in questi anni hanno massacrato in tutti i modi il diritto alla salute. Solo 8 di esse garantiscono le tutele di legge. Renzi a Porta a porta esemplifica con l’Alzaimer, io potrei aggiungere che tre quarti delle donne del paese non hanno i diritti loro riconosciuti dalla legge, che ¼ della spesa è a carico delle famiglie, costrette ad andare nel privato, che quasi 9 milioni di cittadini sono praticamente fuori dall’area dei diritti ecc.

Potrei anche ricordare che gli operatori sono stremati dal blocco del turn over, che i servizi boccheggiano, che i pronto soccorso mettono i materassi per terra ecc. Quindi apprezzo l’idea di sviluppare le tutele, ma chiedo tanto a Renzi che alle Regioni: quanti soldi servirebbero? Con i 10 mld in tre anni proposti dalle Regioni non si fa un granché e allora di quanto dovremmo disporre per riportare semplicemente nell’area del diritto tutti coloro che in questi anni sono stati sbattuti fuori? Una cifra di riferimento ci sarebbe ed è quanto si spende per il “non diritto” vale a dire più di 30 mld di spesa privata il che vuol dire che la spending review, accettando la proposta delle Regioni, che i soldi della sanità restano alla sanità, dovrebbe liberare in un arco ragionevole di tempo, almeno 30 mld. E’ realistico? E’ possibile? Altroché ma la condizione imprescindibile non è il patto alla salute al quale le regioni restano attaccate con i denti, e neanche i terribili tagli lineari, ma è riformare strutturalmente il sistema di spesa ,riformando il sistema sanitario.

Se ripensassimo il lavoro, il Titolo V, l’organizzazione dei servizi, le politiche per la salute, potremmo davvero rifinanziare la sanità dei diritti. Perché non si fa un patto per la riforma per garantire invarianza dei diritti, riduzione della spesa, maggiore governabilità del sistema, più salute per tutti?

In primo luogo non c’è un progetto di riforma degno di questo nome perché semplicemente non c’è un pensiero riformatore degno di questo nome. Quello che viene spacciato per riforma dalla ministra Lorenzin è l’ennesimo “patto finanziario” con le Regioni e che in quasi 15 anni ha ripetutamente fallito l’obiettivo del cambiamento. In secondo luogo esiste un gigantesco problema di governabilità che è alla base di un fasullo sistema di spesa per cui non si capisce perché Renzi, il grande riformatore,non ha pensato di includere tra le questioni istituzionali da risolvere con la riforma del titolo V, anche la sanità. Le Regioni sulla sanità salvo le solite eccezioni hanno dato una pessima prova di governabilità, vi sono squilibri istituzionali gravi, ma soprattutto vi sono pericolose incapacità antropologiche della classe dirigente .Vorrei rammentare che metà delle regioni sono commissariate. Per me le Regioni sono inaffidabili, oggi rialzano la cresta dopo essere state messe nell’angolo prima da Monti e poi da Letta, e sbaglia Renzi a dare loro corda. Ma staremo a vedere.

Di tutto questo e di altro discuteremo il 27 marzo (“Professioni e sanità: chi e cosa si oppone al cambiamento?”) alla Pontificia Università Lateranense (ore 9,30 aula Paolo VI piazza san Giovanni in Laterano 4). Il convegno è organizzato da “Specchio Economico” e dal movimento “Le professioni per l’Italia”. Siete tutti invitati, in particolare la ministra Lorenzin.