«L’università non rimescola più le classi sociali né crea parità e giustizia, una parola in esilio che bisognerebbe rimpatriare»: il presidente di Almalaurea, Ivano Dionigi, ex rettore dell’università di Bologna, ha illustrato ieri a Napoli il ventottesimo Rapporto sul profilo e la condizione occupazionale dei laureati, stilato su un campione di 71 atenei.

Il primo dato riguarda il calo delle immatricolazioni: dal 2003 al 2015 si sono perse quasi 70mila matricole pari al 20%. Al sud la contrazione è del 30%; al centro è del 22% mentre al nord è appena il 3%. «Il diritto allo studio è più forte nelle regioni forti – spiega Gaetano Manfredi, presidente della Crui e rettore dell’Università Federico II di Napoli – e questo incide sul calo nel Mezzogiorno. Siccome i finanziamenti sono legati alle immatricolazioni, il circolo vizioso si autoalimenta in virtù di misure che, invece di essere anticicliche, amplificano i processi. Così al sud rimarranno gli anziani, chi non studia e chi non trova lavoro. E’ questo l’interesse dell’Italia?». Senza correzioni, rincara Dionigi, «in quindici anni il sud sarà un guscio vuoto».

Il 20% degli studenti del Mezzogiorno e delle isole lascia il proprio territorio per spostarsi a compiere il primo livello di istruzione universitaria al centro nord. La diaspora coinvolge soprattutto Calabria, Sicilia e Basilicata, mentre in Campania si scende al 12% (il 10% va in atenei del centro e solo il 2% del nord). Un divario che si ripete anche per le borse di studio: in Italia appena l’11% viene giudicato idoneo, ma tra questi solo il 75% la incassa davvero, una percentuale che scende al 19% al sud mentre in alcune regioni del centro nord è pari al 100%.
Se si analizza la condizione occupazionale dei laureati, si confermano le difficoltà degli ultimi 7 anni, anche se si nota «il timido emergere nel corso del 2015 di alcuni segnali di ripresa del mercato del lavoro». In particolare, tra i neolaureati cala la disoccupazione e aumentano la stabilità lavorativa, le retribuzioni e l’offerta. «Ma non siamo ancora in grado di misurare gli effetti del Jobs act» chiarisce Dionigi. Resta lungo il tempo speso a cercare lavoro, ma a cinque anni dalla laurea il tasso di occupazione (prendendo in esame i laureati nel 2010) sale fino all’84%. La stabilità del lavoro e i guadagnani mostrano segnali di miglioramento: il 72% (+2% sul 2014) dei laureati da cinque anni ha un contratto a tempo indeterminato o attività autonome, lo stipendio medio mensile è salita rispetto all’anno scorso da 1.354 a 1.388 euro. Restiamo comunque il paese europeo con le retribuzioni più basse. Il segmento a cui va meglio è quello degli uomini del settentrione, anche se i dati sui meritevoli assegnano la prima posizione alle donne del meridione.

I dati mostrano un grave ritardo dell’Italia nei confronti dell’Ue: nella fascia tra i 25 e i 34 anni, abbiamo il 24% di laureati, ultimi in Europa dopo la Turchia, su una media europea del 41%. Bassissima la percentuale di stranieri che si laurea da noi (circa il 4%, solo lo 0,9 al sud). L’Italia però è prima per richieste di laureati da parte dei paesi stranieri, cioè l’Erasmus plus: la media europea è del 30% mentre la domanda di Italiani sale al 51%. «Questo grazie ai nostri licei, che offrono la migliore preparazione culturale del continente». A spostarsi sono prevalentemente i laureati che provengono da contesti famigliari culturalmente ed economicamente più avvantaggiati.

«Il ranking delle università andava fatto, ma funziona quando i criteri sono uguali tra pari e non uguali tra diseguali – sottolinea Dionigi -. Così non premia il lavoro che fanno gli atenei meridionali in contesti molto più difficili. E poi il sistema dei tre anni più due va ripensato: adesso c’è un rapporto verticale, il 54% passa al biennio di specialistica. Meglio separare i percorsi dando dignità e autonomia alla laurea triennale». C’è bisogno di riequilibrare i territori, migliorare l’orientamento e l’accesso al lavoro. «Oggi funziona con l’autopromozione, che favorisce chi ha un censo alto rispetto a chi merita – conclude Dionigi -. Allora eliminiamo le tasse, circa 1.500 euro per il triennio a studente, parliamo di un investimento sul futuro di un miliardo e due. Soprattutto smettiamo di ripetere che la laurea è inutile».