L’anonimato è sempre stata una condizione necessaria per gli street artists, perché pitturare muri è considerata una pratica illegale, assimilata agli atti di vandalismo e il rischio di essere ricercati e sanzionati non è del tutto scongiurato (vedi la recente vicenda di Geco). Quando sono comparse le prime Superwomen nelle finestre cieche del centro storico di Firenze, è cominciata subito la caccia all’identità di Le Diesis. Ma di loro non sa quasi nulla.

All’inizio si pensava si trattasse di un singolo artista, non si era a conoscenza se fosse uomo o donna. Ora è noto che sono due amiche che operano in coppia e che sono fiorentine, una proviene dal mondo della comunicazione e l’altra dall’Accademia d’arte.

Per Le Diesis però l’anonimato è soprattutto un valore. «Non è importante chi siamo, quello che conta è il messaggio che vogliamo trasmettere con le nostre opere. Non siamo attrici o frontgirls di un band, siamo artiste e quello che esprimiamo è nell’opera. Restare nell’ombra è una forma di protezione della nostra privacy, ma anche un mezzo per dare risalto a quello che facciamo. Siamo circondati da smanie di protagonismo, lo vediamo ovunque, a noi non interessa mostrare chi siamo, per quello che realizziamo è irrilevante. Ci piace pensare che il nostro superpotere sia proprio l’invisibilità, perché ci rende molto più libere».

Voi però non dipingete muri ma utilizzate dei dipinti che poi attaccate nelle finestre cieche delle città. Siete illegali o di solito vi accordate con le amministrazioni locali?
Utilizziamo la tecnica del paste up. Prima realizziamo le nostre Superwomen in studio con acrilico su carta velina. In seguito le attacchiamo in alcune finestre o archi ciechi dei centri storici delle varie città in cui interveniamo. Abbiamo scelto di utilizzare le finestre cieche perché fanno da cornice naturale alle nostre opere, che possono anche interagire con chi le guarda come fossero persone affacciate, e strizzano l’occhio al passante con complicità. A parte l’anno scorso, in cui abbiamo realizzato con la Fondazione Il Cuore si scioglie, una campagna per promuovere la raccolta fondi dei progetti e delle iniziative di solidarietà, interveniamo sempre in spazi non legali, cercando di valorizzarli. La street art nasce illegale, l’arte urbana su commissione è un’altra cosa e ha origini ben più lontane, basti pensare ai murales realizzati già un secolo fa da Diego Rivera. Proprio in questi giorni siamo state segnalate a Firenze dove abbiamo attaccato alcune opere in occasione della mostra Superwomen. Che, ironia della sorte, non solo è patrocinata dal Comune di Firenze, ma è allestita al Mad (Murate Art District), uno degli spazi espositivi gestiti dall’amministrazione.
Secondo la nostra sensibilità, quando l’intervento di street art, seppur illegale è realizzato seguendo un criterio di estetica, l’irregolarità è una costruzione mentale. Per esempio, ci sono tantissimi cartelloni pubblicitari molto più invasivi, ma siccome sono in spazi legali sono consentiti.

Come vi siete conosciute e come siete arrivate alla street art? Incuriosisce che una persona che proviene dal mondo della comunicazione, evidentemente con doti per la pittura, sia approdata alla street art…
L’arte è sempre comunicazione! Quindi non c’è assolutamente niente di strano nel nostro progetto. La nostra forza sta esattamente nel congiungere questi due mondi, l’arte e la comunicazione, apparentemente distinti, per creare insieme qualcosa di unico.
Quello ci accomuna è che siamo due amiche con una visione simile della vita e del cammino che stiamo percorrendo e con lo stesso impulso di voler trasmettere un messaggio importante attraverso la leggerezza, senza prendersi troppo sul serio. La street art è un mezzo di comunicazione con un’energia incredibile. Il fatto che si realizzi per strada è un motivo in più per veicolare messaggi positivi. Gli street artists hanno una grandissima responsabilità perché sono sotto gli occhi di tutti. Arrivare alla street art, quindi per noi è stata una conseguenza del nostro percorso interiore. L’idea delle Superwomen è nata quasi per gioco durante la visita di Arte Fiera a Bologna, a gennaio dello scorso anno. Avevamo ambedue voglia di creare qualcosa che ponesse al centro dell’attenzione le donne, e così un’idea ha tirato l’altra in modo del tutto naturale e istintivo. Abbiamo realizzato la prima incursione nella nostra Firenze, una delle città capofila della street art italiana, in occasione dell’8 marzo del 2019 attaccando 8 donne in altrettante finestre cieche del centro storico come un omaggio alle donne e come momento di riflessione per tutti. Sinceramente non ci aspettavamo il successo mediatico che abbiamo avuto. Questo ci ha incoraggiate a uscire con altrettante icone a Roma. Abbiamo disseminato di donne il Ghetto e Trastevere, e in seguito a Napoli, Bologna, Milano, Venezia, L’Aquila, Bari, Livorno.

Non praticate tagging, i vostri dipinti hanno due caratteristiche: una firma che è la S di Superwoman che può essere assimilata al tag ma pure allo stencil per l’uso della lettera e il gesto dell’occhiolino. La vostra idea è di contrapporre le Superwomen dotate di superpoteri al classico Superman. Vuole essere un messaggio femminista? Nel senso, voi vi ritenete femministe?
Partiamo dal fatto che l’umanità non è allenata a percepire le risorse che sono dentro ognuno di noi. Dovremmo tutti imparare ad amplificare le nostre capacità. Questo è un periodo di grandi cambiamenti, soprattutto per le donne che stanno sempre più prendendo coscienza delle loro possibilità. Quindi, se per femminismo intendiamo un percorso di risveglio della consapevolezza delle potenzialità femminili, allora sì, siamo femministe.

La domanda nasce dal fatto che i soggetti rappresentatisono quasi sempre figure femminili tra le più disparate, da Frida Kahlo a Margherita Hack, da Nefertiti a La Sora Lella, dalla Madonna a Vanessa Incontrada, Giovanna Botteri, Barbie e tantissime altre. Il messaggio che arriva è sicuramente positivo e incoraggiante: che ogni donna ha una sua potenzialità e una sua bellezza contro qualsiasi stereotipo e omologazione imposta dai modelli pubblicitari…

I criteri con cui scegliamo le donne da raffigurare sono i più disparati. Ci sono soggetti che ci ispirano particolare simpatia, come la Sora Lella, la Maga Magà, le ragazze niqab (che, in realtà, è il nostro autoritratto) e altri che rappresentano degli esempi. In ogni caso, l’opzione è sempre guidata dall’istinto e seguiamo questo flow che è accompagnato dal gioco e dal nostro divertimento. Senza nulla togliere al dato di fatto che ognuno di questi personaggi ha comunque dato tanto molto al mondo. Vuoi per impegno sociale, scientifico (Margherita Hack, Rita Levi Montalcini), artistico (Anna Magnani, Maria Callas, Alda Merini, Marina Abramovich, Frida).

Avete realizzato diverse mostre dal Museo Archeologico di Napoli all’ultima mostra a Firenze con un’esposizione al Semiottagono delle Murate, con due nuovi assi nella manica Freddie Mercury e Laura Pergolizzi, una Jimi Hendrix al femminile. Grazie a queste mostre ora siete conosciute un po’ dappertutto e avete raggiunto una certa legittimità culturale. È così?
L’arte è lo specchio dei suoi tempi. Negli anni ’70 l’intero tessuto sociale era permeato da uno spirito rivoluzionario che si contrapponeva ai tanti stereotipi dell’epoca. Oggi alcune motivazioni non hanno più ragione di essere, l’arte può prescindere da funzioni civili, divulgative, educative. Ormai la street art è completamente sdoganata all’interno della scena culturale italiana e internazionale, ma continua a conservare delle specificità grazie a un contatto più diretto, informale e quotidiano con lo spettatore. Con la maggiore libertà creativa e di espressione, riesce a spingersi laddove gli artisti più tradizionali sembrano avere il timore di avventurarsi.
La rivoluzione di oggi è molto più sottile: prendere consapevolezza di se stessi. Per noi è importante attaccare opere per strada ma anche esporre in un museo per far conoscere la street art proprio lì dove non te l’aspetti, cercando di creare un allestimento fresco che non snaturi il lavoro che fai in strada.