Resta alta la tensione nelle strade sudanesi dopo le proteste di massa di due giorni fa in cui una persona è rimasta uccisa e diverse altre ferite, organizzate per chiedere giustizia per le vittime della sollevazione popolare che nell’aprile dell’anno scorso portarono al rovesciamento dell’allora presidente Omar al Bashir.

Centinaia di migliaia di sudanesi martedì hanno scandito slogan e bruciato copertoni nel centro di Khartum, delle città gemelle di Khartum Nord e Omdurman, oltre che a Kassala, nel Sudan orientale, e nel Darfur.

Fra le richieste c’è quella avanzata dall’organizzazione “Famiglie dei martiri” che vuole lo svolgimento di un’indagine sulle violazioni dei diritti umani e l’uccisione di 87 manifestanti durante il sit-in del 3 giugno 2019 davanti al quartier generale dell’esercito a Khartum.

Ma ci sono anche la nomina di un parlamento di transizione e di commissioni incaricate di realizzare le riforme.

Le proteste hanno spaventato non poco il primo ministro Abdallah Hamdok che si è affrettato a descrivere le richieste della piazza «legittime». «Ribadisco l’obbligo per il governo di ottenere giustizia e di garantire che i crimini commessi negli ultimi 30 anni non vengano ripetuti», ha promesso.

Hamdok si è impegnato ad annunciare per i prossimi giorni decisioni «che potrebbero avere un impatto significativo – politicamente, economicamente e socialmente» avvertendo che «alcune parti» non meglio precisate «cercheranno di usarle per alimentare e creare instabilità».