La portaerei statunitense George Washington è arrivata ieri nel golfo di Leyte per prestare aiuto alle vittime del super-tifone Haiyan, che una settimana fa si è abbattuto sulle Filippine. I 5mila marinai a bordo dovranno sostenere il governo filippino nel fornire cibo e acqua nelle zone più colpite dal disastro naturale e nelle operazioni di soccorso che, ormai è opinione comune, stanno andando a rilento. Il livello dell’impegno statunitense, ha spiegato il generale di brigata Paul Kennedy alla Bbc Radio 5, è tale da non avere forse precedenti nell’affrontare una crisi umanitaria.
Dichiarazioni che riprendono quelle del governo di Manila che nei giorni scorsi diceva di trovarsi davanti alla più imponente operazione di logistica della storia dell’arcipelago. Riavvolgendo di quasi settant’anni il nastro della storia siamo non lontano da dove le truppe del generale MacArthur sbarcarono nell’ottobre del 1944 nell’invasione del’isola di Leyte durante la Seconda Guerra Mondiale. La Washington è stata accompagnata da altri due incrociatori e altre navi sono attese in settimana. Secondo quanto riporta Barbara Starr, nel suo blog della Cnn, l’operazione Damayan, com’è chiamata la missione nell’arcipelago, potrebbe inoltre impiegare fino a un totale di 14 convertiplano MV-22, il numero più alto mai usato se si escludono Iraq e Afghanistan.
«Ora saremo in grado di portare aiuto ai villaggi costieri distrutti», ha spiegato un funzionario statunitense citato dall’agenzia della Difesa Usa. I primi aiuti sono già partiti a Tacloban, città costiera di 220mila abitanti tra le più colpite da Yolanda, come il tifone è chiamato nelle Filippine, e a Guiuan, in cui la situazione è descritta da Medici senza frontiere come «sconfortante». Con il governo di Manila che deve respingere le critiche, aiuti e divise viaggiano spesso assieme, in una tendenza a militarizzare le operazioni umanitarie che si era già vista ad Haiti. La Gran Bretagna sta inviando la portaerei Hms Illustrious con 32 milioni di dollari, un team di medici e aerei da trasporto della Raf. Tokyo invierà nell’arcipelago mille uomini delle Forze di autodifesa, ossia i militari giapponesi. Dalla Thailandia, il capo di Stato maggiore, generale Prayuth Chan-Ocha, ha offerto aiuto finanziario per 1 milione di baht (circa 24mila euro). Fondi donati direttamente all’attaché militare filippino a Bangkok con l’impegno a fornire medicine e rifornimenti con i C130.
Intanto Valerie Amos, numero uno dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento umanitario (Ocha), ha visitato Tacloban. «Cibo, acqua pulita, servizi di base non sono ancora disponibili a tutti quanti» ha spiegato. Le stime che arrivano dal governo e dalle organizzazioni umanitarie parlano di oltre mezzo milione di sfollati, ma i filippini colpiti dal disastro naturale sono 11,5 milioni. Nella serata di ieri il sito del governo filippino riferiva un totale di 2.357 morti ufficiali.
Rispondendo alle domande dei sulla lentezza della risposta governativa, il presidente Aquino ha fatto un appello per una «maggiore accuratezza» nel riportare quanto sta accadendo. Nei giorni scorsi il capo di Stato era dovuto intervenire chiedendo di non creare allarmismi quando fu detto che i morti avrebbero potuto essere oltre 10mila. Mentre resta alta l’allerta per il timore di saccheggi cui si aggiunge la paura per la diffusione delle armi da fuoco nel Paese, dall’esercito arriva la smentita di una presunta imboscata della guerriglia comunista contro un convoglio nella provincia di Sorsogon. Si sarebbe invece trattato di uno scontro tra i soldati e alcuni membri del Nuovo esercito popolare, braccio militare del Partito comunista, nel quale sono morti due ribelli. Il caso aveva fatto gridare alla guerriglia, ormai in declino nella sua variante comunista, che cerca di razziare gli aiuti. E ha spinto anche agli appelli per un cessate-il-fuoco temporaneo per fornire gli aiuti.

*Lettera 22