Dai sentieri della Val di Susa che, una volta lasciato l’asfalto, si fanno stretti e ripidi, la vista del cantiere è quella di una ferita nella montagna. Uno squarcio in un paesaggio che, con il viadotto dell’autostrada, non poteva certo definirsi bucolico, ma non aveva bisogno di altro cemento, per lo più inutile (il tunnel esplorativo della Torino-Lione). Ieri, qui, sono arrivati in tremila: donne e uomini, bambini, giovani, anziani e qualche cane al seguito. I No Tav si sono, infatti, rimessi in marcia, nonostante una giornata caldissima, da Giaglione a Chiomonte, costeggiando il cantiere della Maddalena protetto come un fortino, pronti a sconfiggere spettri di nuove tensioni e uccelli del malaugurio.

Acqua e scarponi. E ancora acqua per combattere l’afa attenuata solo dagli alberi della Val Clarea. L’appuntamento era per tutti al campo sportivo di Giaglione. “Siamo di nuovo qui” ha detto Alberto Perino, alla partenza e sarà una marcia pacifica perché decidiamo noi come fare le nostre manifestazioni. Se passeggiate tranquille o se svegliare la tribù del pollaio. Ma, finora, la violenza l’abbiamo subita”. In marcia anche venti sindaci contrari all’opera, che chiedono un incontro urgente con i presidenti delle Camere, Boldrini e Grasso, perché ritengono che quello del Tav sia “un problema nazionale di cui devono occuparsi le massime cariche dello Stato”. Per Nilo Durbiano, primo cittadino di Venaus, “la causa di questo alto livello di tensione è una politica assente, riprenda il suo ruolo e la polizia vada a casa”. Angelo Patrizio, sindaco di Avigliana: “Vorrei sapere cosa pensano i politici di una mobilitazione che continua da vent’anni con una partecipazione simile?”. Il sindaco di Sant’Ambrogio, Dario Fracchia, ha chiesto “un tavolo sul Tav in base al quale stabilire quali siano le priorità”. E ha aggiunto: “Quest’opera è uno spreco. È come se l’talia, in braghe di tela, volesse comprarsi lo smoking”.

Loredana Bellone, sindaco di San Didero, una settimana prima aveva infranto simbolicamente la “zona rossa”, ieri ha di nuovo scarpinato su per i sentieri: “Non voglio che si dimentichi quello che è successo a Marta Camposano, per questo motivo chiediamo che venga assegnato un numero identificativo alle forze dell’ordine”. E Marta, l’attivista pisana che aveva denunciato molestie durante il fermo della polizia, ieri ha camminato con ancora il cerotto sopra il labbro ma confortata dall’affetto delle donne No Tav che hanno aperto il corteo, organizzato dai comitati, con lo striscione “Partigiane della terra e del futuro”. Dietro, Nicoletta Dosio, volto storico, che si è detta allarmata di come “la polizia abbia alzato il livello di conflittualità”.

Ieri, non si sono verificati momenti di tensione. Gli agenti, in assetto antisommossa, si sono schierati per impedire il passaggio del ponte Clarea (“zona rossa”), ma i manifestanti, dopo un breve battibecco, hanno proseguito la marcia più in alto. E al posto del ponte i ragazzi del campeggio di Venaus hanno messo tronchi per guadare il torrente. E così i No Tav hanno raggiunto la Maddalena tra slogan e bandiere. Tanti giovani, non solo valsusini a testimoniare una lotta senza frontiere (pisani come campani), ma anche tanti anziani. Gente che questi sentieri li ha percorsi per una vita e non vuole smettere di farlo e non vuole un territorio militarizzato. Una coppia di pensionati di Almese ha partecipato a ogni iniziativa: “Perché la lotta contro il Tav non è solo una battaglia contro un treno, ma contro un sistema che produce precarietà. Lo vediamo sulle nostre figlie”.

Mescolati tra la loro gente anche i senatori del Movimento cinque stelle, Marco Scibona e Alberto Airola: “Nonostante l’immotivato e provocatorio allargamento della zona rossa e i soliti allarmi della vigilia, la manifestazione si è svolta senza problemi. Il governo prenda atto che in Val di Susa esiste una ferma e motivata opposizione all’opera, lungamente inascoltata e fermi subito il cantiere per impiegare le risorse in opere veramente utili”. Con la bandiera di Rifondazione comunista Ezio Locatelli, segretario torinese, è ritornato sulle dichiarazioni del senatore Pd Stefano Esposito: Dopo aver denunciato di aver ricevuto una lettera intimidatoria, firmata con la stella a cinque punte, aveva detto che gli autori del gesto erano legittimati da alcuni partiti: M5s, Vendola e Prc. E aveva aggiunto che Marta Camposano si era inventato tutto e avevano fatto bene a manganellarla. Ha superato ogni limite con esternazioni non molto dissimili da Calderoli o Borghezio. Il minimo che possa fare il Pd è di dissociarsi, chiedere di scusarsi o in caso contrario di dimettersi dal partito. Il serpentone è arrivato alla centrale di Chiomonte nel tardo pomeriggio. Ancora una volta il popolo No Tav ha vinto sui gufi.

 

Mauro Ravarino