Qualcosa non funziona in questo Paese. All’inizio giornalisti ed economisti di buon senso illustrano la crescita economica o il cambio di direzione, poi il governo registra la riduzione della cassa integrazione e l’associa alle proprie politiche, alla fine arriva il giornale di governo che sottolinea la diminuzione delle iscrizioni al sindacato, ovviamente Cgil, il tutto condito da soddisfazione smodata senza utilizzare nemmeno il politichese.

La risposta è stata immediata, ma qualcosa sfugge dalla discussione estiva o post-estiva. Non si tratta della disattenzione verso Confindustria, che se la passa male non meno dei sindacati, piuttosto dal gioco giocato dagli attori interessati. Inoltre, la crisi dei soggetti intermedi è proporzionale alla crisi della classe dirigente del Paese: il governo non governa e gioca al gambero disegnando un futuro prossimo tutto da costruire. Alla fine tutto è teso a puntellare un recinto che dovrebbe essere interamente cambiato.

Usando un titolo di uno dei migliori congressi della Cgil, occorre riprogettare il Paese. Possibile che nessuno si renda conto che la crisi di sindacato, Confindustria e istituzioni (governo) sono lo specchio fedele della “depressione” economica e sociale del Paese? Possibile che nessuno veda come e quanto il paese si è allontanato dall’Europa reale, che pure non è messa bene? Qualcuno gioca con il fuoco. Occorre un progetto per riscattare il paese. Più che la puntualizzazione delle tessere rinnovate o meno, sarebbe stato il caso di ri-consegnare al paese il libro bianco per il lavoro e l’aggiornamento che sarà presentato il primo settembre. Il Paese merita un progetto.

L’Italia è un paese depresso in termini assoluti e relativi. Si riducono le tessere del sindacato e le iscrizioni a Confindustria? Siamo proprio sicuri che sia un buon segnale? Quando un paese precipita e continua a scavare per cadere sempre più in basso, nessuno può salvarsi. L’Italia è un Paese devastato dalla crisi economica. Se un paese cresce di un terzo rispetto alla media europea dal 1996 al 2014, cumulando una minore crescita di 220 miliardi di euro, la società e le persone cambiano. Potevamo aspettarci qualcosa di meglio, ma la pauperizzazione di “senso” è colpa della classe dirigente e di governo che ha dipinto un paese diverso da quello che in molti, non ascoltati, descrivevano.

L’Italia non è un paese europeo da qualche tempo. Non tanto per la così detta finanza pubblica. Qui il lavoro è andato ben oltre i vincoli di Maastricht. Il vincolo del Paese è proprio nella sua struttura economica. Nonostante tutto, in molti si affannano a lisciare il pelo al genio del made in Italy e a usarlo come modello. Il Paese è cresciuto meno dell’Europa, con valori negativi dall’inizio della crisi – ben oltre il 10% – non per la burocrazia, la rigidità del lavoro, le tasse troppo alte, i partiti e da ultimo i sindacati. L’Italia non ha un’industria attrezzata per affrontare la crisi economica e gli investimenti delle stesse, in ragione della specializzazione produttiva, diventano mera importazione di conoscenza da altri Paesi e quindi lavoro buono per altri paesi. Per dirla con una battuta, nemmeno con gli schiavi gran parte delle imprese italiane sarebbe competitiva.

Qualcuno deve denunciare che il problema dell’Italia non sono gli investimenti mancati delle imprese. La solita e facile battuta di opinionisti: non cresciamo perché le imprese non investono. Se guardiamo al rapporto investimenti-Pil, l’Italia ha investito quanto e come le imprese tedesche. Altro che non investiamo. Il dramma dell’industria italiana e per il lavoro buono, penso a tutti gli studenti che prepariamo per affrontare il mondo di domani, è l’incapacità di produrre i beni capitali (investimenti) oppure di adattare la tecnologia di altri paesi. In sostanza l’Italia investe risorse finanziarie nel futuro, ma non producendo niente di quello che serve per il futuro, diventiamo sempre più poveri. In queste condizioni la crisi di sindacato e Confindustria è lo specchio della crisi di struttura. Sarebbe il caso di indagare la natura dei problemi, non basta denunciarli. Fortunatamente la Cgil presenterà un bel lavoro sul tema sviluppo, crescita e democrazia realizzato dal suo Forum degli economisti, guidato da D. Bardi, R. Sanna e L. Pennacchi.

Spesso leggiamo i dati della crescita del Pil come decisivi. Vero, ma la spiegazione è indiscutibilmente più interessante. Confindustria, sindacati e paese in crisi, con oltre 7 milioni di persone che non cercano più lavoro? Alcuni appunti su tessere e tasse, investimenti, sono realmente insopportabili. Il paese ha perso il 20% della base produttiva dal 2009 al 2014. Se il governo continua a giocare al circo, tra non molto potrebbe anche vincere la sua battaglia di governare il paese senza corpi intermedi, semplicemente perché non ci sarebbe più niente da intermediare.

Guardando al valore aggiunto al costo dei fattori di alcuni paesi europei e divisi per Bassa, media-bassa, media-alta e alta tecnologia, l’Italia è sempre lontanissima anni luce dalla media europea e solo nei settori a bassa tecnologia la distanza diventa esattamente la metà di quella tedesca.

La crisi è di tutti. Nessuno si salverà senza riprogettare il paese. Non ci sono conferenze o tasse ridotte o meno che possono creare le condizioni liberali di un sano sistema economico.
Non ho idea di cosa potrebbe essere la sinistra o il sindacato, ma la sinistra e il sindacato potrebbero diventare storia se non si gettano le basi del “capitale”. La crisi che attraversa l’Italia è proprio una crisi di capitale. Il governo dovrebbe essere interessato. Peccato che al netto di qualche amico non si intraveda classe dirigente.