Il giorno dopo «l’epilogo-choc» della vicenda legata alle dimissioni di Riccardo Muti – con la decisione del Cda di licenziare Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma, si moltiplicano le reazioni dal mondo politico, sindacale e da quello dello spettacolo.

Mette le mani avanti Nicola Zingaretti, il presidente della Regione, per cui non esiste: «Alcuna volontà di chiudere il Teatro dell’Opera né tantomeno la volontà di lasciare qualcuno a casa. Al contrario, rispetto a una situazione drammatica e alla concreta ipotesi del fallimento, la scelta è quella di rilanciare l’opera utilizzando un modo nuovo che non intacchi gli artisti e i lavoratori». Il «taglio» coinvolgerà 182 lavoratori su 460 effettivi, ma non gli altri 278. La decisione, spiega il Cda, è stata presa per la persistenza di uno stato di passività nonostante il piano di risanamento che fra calo degli abbonamenti e fuga degli sponsor, era ancora di 4,2 milioni di euro. «Dall’outsourcing di orchestra e di coro – spiega il sovrintendente Fuortes – si stima un risparmio di circa 3,4 milioni di euro.

I tre segretari dei sindacati regionali di Cgil, Cisl e Uil Claudio Di Berardino, Mario Bertone e Pierpaolo Bombardieri definiscono la procedura di licenziamento: «Inaccettabile sia per la sostanza che per la forma in cui è avvenuta. Non è così, liquidando gli artisti che hanno fatto l’Opera portavoce d’eccellenza della lirica italiana a livello internazionale che si salverà il teatro. Non si salverà né il lavoro né la qualità».

Intanto orchestrali e coristi si stanno già attivando per presentare ricorsi immediati e si valuta l’ipotesi di un’assemblea all’interno del teatro e di un presidio in Campidoglio. Ma i rapporti tra le sigle sindacali restano tesi. In una nota la Cisl per voce del segretario della Fistel Cisl di Roma e Lazio Fabio Terrinoni, anche se definisce la decisione choc «un colpo mortale all’Opera ma anche alla cultura a Roma» incolpa la Cgil e i sindacati autonomi per l’attegiamento tenuto in occasione della stagione estiva a Carcalla e per la decisione di non firmare il piano di risanamento: «Una decisione che ha danneggiato il teatro e ogni iniziativa sindacale intrapresa».

Molte le prese di posizione anche dal fronte politico, la senatrice grillina Michela Montevechi : «Davvero non era possibile tentare un’altra strada per salvareil teatro e insieme i suoi lavoratori?». Per Gianluca Peciola, capogruppo Sel in Assemblea capitolina: «Quanto è avvenuto è grave, è l’esportazione del modello cinese, che dovrebbe passare attraverso attraveso una consultazione democratica. Invece è stata una decisione calata dall’alto, senza aver visto né Marino né Fuortes» che ha aggiunto «Questo modello «non deve appartenere a una Giunta di centrosinistra, che qusto renzismo in pillole non dovrebbe accettarlo». Fra le iniziative immediate, oggi Fistle Cisl e Uilcom manifesteranno davanti al teatro capitolino dalle 11 alle 14.