«I numeri del piano Mps presentato ieri sono associabili alla chiusura di una fabbrica come Mirafiori, o come la chiusura di almeno 2.500 imprese dei distretti industriali». Grazie a questa osservazione del segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale, si comprende fino in fondo l’impatto che avrà sull’occupazione del terzo gruppo bancario italiano il piano industriale del tandem Profumo-Viola.

Nel presentare ai sindacati il piano esuberi «che comporterà un risparmio di mezzo miliardo di euro al 2017», l’ad Fabrizio Viola ha puntualizzato che, tolti i 2.700 già usciti, la riduzione riguarderà 5.300 dipendenti. Di questi, 1.100 con l’esternalizzazione delle attività di back-office, altri 700 grazie al turn-over, 600 passerebbero verso altri enti o società, e ben 2.900 tramite prepensionamento con ricorso al fondo di solidarietà interbancario. «Ma quel fondo che l’azienda dice di voler utilizzare è stato disdettato dall’Abi – osserva Antonio Damiani che coordina la combattiva Fisac del gruppo Mps – insieme al resto del contratto nazionale. Con il voto favorevole, fra gli altri, degli stessi vertici del Monte dei Paschi».

La secca informativa di Rocca Salimbeni ai sindacati, senza che sia stata aperta alcuna trattativa, allarma anche le altre sigle dei lavoratori del credito. A partire dalla Fabi, sindacato maggioritario del settore, che con Lando Sileoni avverte: «Siamo contrari alle ingerenze esterne di chi vuole risolvere il problema prepensionando obbligatoriamente i lavoratori del gruppo Mps, con un assegno pari al 60% dell’ultima retribuzione».

Il riferimento critico è verso la Fiba Cisl, la Uilca e la stessa Fisac Cgil che, nonostante le divisioni sull’originario piano industriale del 2012, hanno chiesto di aprire un tavolo con il governo Letta su Mps. Al tempo stesso Sileoni non nasconde le difficoltà: «La disdetta del contratto nazionale di lavoro complica ancora di più una situazione che avrebbe invece bisogno di tutt’altre condizioni di partenza».

Anche la presa di posizione della Uilca è utile per capire gli effetti della ristrutturazione Mps: «Il numero degli esuberi avrà un impatto sociale fortissimo – osserva Massimo Masi – e non siamo disponibili a trattative con il contratto nazionale disdettato e il fondo di solidarietà che scade il 31 ottobre e che nel frattempo non verrà adeguato alla legge Fornero, e quindi potrebbe perdere le caratteristiche che hanno consentito al settore una ristrutturazione senza licenziamenti».

Ancora Damiani, infine, per una critica supplementare al cda del Monte: “Ulteriori interrogativi – ricorda il sindacalista Fisac – riguardano l’eventuale finanziamento del fondo nella nostra azienda. Un fondo che in questa fase è tutto a carico dei lavoratori, grazie alle giornate di solidarietà, al Tfr e all’annullamento del contratto integrativo aziendale». Intanto a Siena i commenti si sprecano, e quello più ricorrente è in forma di interrogativo retorico: «Tagliare i costi e mandare la gente a casa: e per far questo ci volevano i supermanager?».