Dopo le iniziative di sabato, per il movimento sindacale tedesco ieri c’è stata un’altra occasione utile a lanciare un chiaro messaggio politico. Si è aperto a Berlino il congresso nazionale della federazione dei lavoratori dell’edilizia, dell’agricoltura e dell’ambiente IG Bau (300mila iscritti), guidata sino ad ora da Klaus Wiesehügel, prossimo ministro del lavoro in caso di vittoria della Spd alle elezioni del 22 settembre. Un’eventualità remota, ma che all’occorrenza non troverà impreparato il candidato cancelliere Peer Steinbrück: nelle scorse settimane ha già presentato il proprio Kompetenz-Team, la squadra di dodici persone fra le quali l’Spd sceglierà i titolari dei dicasteri. La scelta di Wiesehügel non è passata inosservata, essendo stato un acerrimo oppositore delle politiche neoliberali del governo del «riformista» Schröder.
I maligni potrebbero dire che è facile promettere quando si sa che non si dovrà mantenere. I sondaggi, che in Germania possono essere diffusi fino al giorno prima delle elezioni, mostrano che i rapporti di forza non stanno cambiando. Le intenzioni di voto continuano a premiare Angela Merkel: la somma fra democristiani della Cdu-Csu e liberali della Fdp dà il 45%, quella di socialdemocratici e Verdi soltanto il 36%. La Linke è attestata al 9%. La performance di Steinbrück nel duello televisivo di dieci giorni fa è servita a infondere nello sfidante della cancelliera sicurezza in se stesso, ma non a convincere gli indecisi.
E tuttavia per la Spd le porte del prossimo governo potrebbero aprirsi comunque, cioè anche in caso di mancata vittoria. La coalizione democristiano-liberale, infatti, potrebbe non avere i numeri sufficienti a formare una maggioranza assoluta nel prossimo Bundestag (la Camera dei deputati), rendendo così probabile la nascita della cosiddetta grosse Koalition fra Cdu-Csu e socialdemocratici. E in quel caso, il 60enne Wiesehügel – di famiglia proletaria della Ruhr, operaio in gioventù nel colosso delle costruzioni Hochtief – potrebbe convertirsi comunque nel prossimo ministro del lavoro. Suo compito sarebbe quello di fare da contrappeso alle componenti più filo-padronali presenti in gran copia nel partito della cancelliera (che resterebbe tale). Peserebbe quasi interamente sulle spalle dell’ormai ex sindacalista la responsabilità di «coprire a sinistra» una Spd alleata – più o meno a malincuore – di Merkel.
Ieri nel discorso inaugurale davanti alla platea congressuale, Wiesehügel ha ribadito i punti fondamentali della piattaforma che il movimento sindacale tedesco, raggruppato nella confederazione unitaria Dgb, ha elaborato in occasione delle elezioni: per «un cambiamento politico» servono, tra le altre cose, l’introduzione per legge di un salario minimo di 8,5 euro, la limitazione del lavoro interinale, investimenti per la crescita e misure per la redistribuzione del reddito. Sono i temi su cui nella Opernplatz di Hannover, di fronte a 15mila persone, aveva insistito Frank Bsirske, leader del sindacato dei servizi pubblici e privati Ver.Di., nella principale delle iniziative svoltesi sabato. Quella in cui ha preso la parola anche Serena Sorrentino della segreteria nazionale della Cgil, sottolineando l’importanza per l’intera Europa della posta in gioco nelle urne tedesche.
I riflettori del congresso della Ig Bau apertosi ieri non erano solo per il possibile prossimo ministro del lavoro, ma anche e soprattutto per l’attuale candidato cancelliere della Spd. Il discorso di Steinbrück, accolto con tutti gli onori, era quello più atteso. Il 66enne ex ministro delle finanze ha toccato le corde giuste per i lavoratori dei cantieri: «Quando saremo al governo faremo un piano straordinario di investimenti nelle infrastrutture, dalle autostrade alle reti digitali». Molti applausi sono arrivati dalla platea anche per i passaggi in cui lo sfidante di Merkel si è scagliato contro la politica antisindacale delle imprese che ricorrono agli accordi aziendali per svuotare i contratti di settore e praticare il dumping salariale, con il tacito assenso del governo uscente.
Mentre la Spd sta faticosamente ritrovando se stessa, soprattutto attraverso un rinnovato rapporto di fiducia con il sindacato, le ultime due settimane di campagna elettorale si sono aperte con una mini-crisi nel seno dei Grünen, che sembra stiano perdendo smalto. «Siamo troppo rossi e troppo poco verdi»: questa è la sostanza dell’accusa che la corrente moderata degli ecologisti muove a Jürgen Trittin, uomo-forte del partito e capolista insieme a Kathrin Göring-Eckardt. I sondaggi non incoraggianti (i Verdi sono inchiodati all’11% del 2009) dimostrerebbero, secondo i critici, che il partito non riesce a «sfondare al centro», a conquistare cioè quell’elettorato sensibile ai temi dell’ambiente ma sociologicamente borghese, concentrato in particolare nei ricchi Länder meridionali. L’accusa ha colpito nel segno e la linea è stata corretta: nel rush finale i Verdi insisteranno di più sul cambiamento climatico e sorvoleranno sull’aumento delle tasse per i ricchi. Nella speranza che serva a guadagnare qualche voto.