Alfredo Martini è nato cento anni fa, l’anno in cui a Livorno fu costituito il Pci guidato da Antonio Gramsci. E agli ideali comunisti fu fedele fino alla fine dei suoi giorni, quando si spense a 93 anni nell’agosto del 2014. In fondo alla sua agenda portava sempre la foto di Enrico Berlinguer, come se fosse uno di famiglia. Alfredo Martini è stato un ciclista professionista, ma soprattutto il Commissario tecnico più vincente al mondo. Sotto la sua guida, tra il 1975 e il ‘95, il ciclismo italiano ha conquistato per ben sei volte la maglia iridata con Moser, Saronni, Argentin, Fondriest e due volte con Bugno. Ha sempre unito ideali politici a grande competenza. L’aria del movimento operaio l’aveva respirata fin da piccolo, quando suo padre era fuochista alle ceramiche della Richard Ginori di Sesto Fiorentino.

L’anno in cui nacque Alfredo, era anche consigliere comunale socialista, almeno fino a quando i fascisti con la violenza non soppressero ogni forma di democrazia. Alfredo Martini all’età di 16 anni lavorava in fabbrica al reparto meccanica della Pignone, dagli operai imparò presto a lavorare al tornio e alla fresa, una precisione che si ritrovò anche nel ciclismo. Suo padre, che mai prese la tessera del Partito nazionale fascista, pagando conseguenze lavorative in prima persona, lo iscrisse all’età di 14 anni alla biblioteca comunale di Sesto Fiorentino, voleva che fosse istruito, visto che a scuola era il più bravo, ma non poteva permettersi di pagare la retta per fargli proseguire gli studi. Alfredo divorava un libro alla settimana e i suoi autori preferiti erano London, Conrad, Hemingway, Faulkner, Steinbeck, e soprattutto nel corso del tempo si appassionò alla poesia che mandava a memoria. Alfredo Martini era uno di poche parole, a volte sorprendeva perfino quei grandi campioni, da Moser a Bugno, che lui aveva costruito passo passo.

Nel 1988 ai mondiali di ciclismo, poco prima della punzonatura, dette a Fondriest un foglio di quaderno sul quale aveva scritto « Stare a ruota e attendere il segnale» talmente il Commissario tecnico era scarno ed essenziale. Non era facile per Fondriest essere a ruota di campioni della portata di Indurain, in quegli anni indiscusso mattatore di svariati Tour de France, ma ci riuscì, al segnale di Martini scattò e nessuno lo prese fino al traguardo. Fondriest dichiarò anni dopo di aver pensato spesso a quelle poche parole scritte dall’allenatore degli azzurri sul foglio di quaderno.

Sapeva ascoltare Alfredo Martini, a volte parlava con il silenzio, che riteneva più eloquente delle parole, in tempi di chiasso collettivo, un vero pregio. Franco Quercioli, allievo di don Milani e di padre Balducci, dirigente della Cgil fiorentina, riporta le lunghe frequentazioni con Alfredo Martini nel libro I silenzi di Alfredo Martini ( Ediciclo). Martini incarnava il silenzio delle montagne, quando durante la Resistenza pedalando di notte portava cibo e vestiti ai partigiani, e con l’incoscienza dei 20 anni anche carichi di bottiglie molotov.