«I nostri servizi segreti? Impensabile che non sapessero». Il sostituto procuratore di Asti, Luciano Tarditi, ha coordinato alcune delle indagini più delicate sui traffici di rifiuti internazionali. Dai veleni interrati nella collina di Pitelli a La Spezia agli intrighi che portano verso la Somalia e l’omicidio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin. «Ora non mi occupo più di questi temi, per contingenze legate all’evoluzione del mio ufficio». Le sue inchieste si sono dovute arrestare «allorquando si è introdotto il tema Somalia e il traffico internazionale di armi e rifiuti», come ha scritto l’ultima Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti cui Greenpeace ha chiesto la pubblicazione di tutti i documenti rimasti coperti dal segreto.

Cosa pensa dell’iniziativa per la desecretazione dei documenti, in particolare sul caso Alpi-Hrovatin?

Non posso che plaudire all’iniziativa, sperando che abbia riscontro positivo. A questo punto togliere il segreto credo possa servire a chiarire fatti, contesti e responsabilità. Sono situazioni che impongono e necessitano questo chiarimento. La mia impressione è che, a livello di Commissioni parlamentari d’inchiesta, ci sia stata una certa disinvoltura, o comunque un eccesso di prudenza nel segretare dichiarazioni che non riguardavano questioni di sopravvivenza nazionale. Con l’effetto da un lato di non tutelare alcuna sicurezza nazionale, dall’altro di impedire che emergessero elementi di responsabilità anche penale che non hanno potuto essere accertati.

E sui documenti trasmessi con il vincolo del segreto?

Lì siamo di fronte allo stesso problema del segreto posto sulle stragi di Stato, e a tutta la polemica sul superamento del segreto che va da Ustica in poi. Credo che questa iniziativa possa portare alla luce elementi importanti che debbono essere conosciuti dall’opinione pubblica: ora che sono trascorsi tanti anni nei quali nessuno è stato perseguito e il reato è prescritto, che almeno si abbia la conoscenza storica delle responsabilità personali e politiche, di chi doveva vigilare e non l’ha fatto, di chi ha scelto di mettere la testa nella sabbia. Con nomi, cognomi e contesti.

Buona parte dei documenti segreti appartengono ai servizi. Alcuni riguardano proprio la Somalia. Nelle sue inchieste ha trovato resistenze da parte di altri apparati dello Stato?

Non se intendiamo che ci sia stata una missiva, o una nota scritta da me a uno di questi uffici che abbia ricevuto una risposta negativa. Ma da quello che io avevo intuito, e soprattutto ascoltato da intercettazioni di cui eravamo in possesso, non c’era nessun interesse da parte dei servizi a collaborare con l’autorità giudiziaria. La stessa convinzione l’ho avuta poi leggendo le parti di audizioni rese alle Commissioni parlamentari d’inchiesta da importanti responsabili dei servizi – quelle che sono state pubblicate – sia sul traffico dei rifiuti sia sulla vicenda di Ilaria Alpi. Di fronte all’assoluta incredibilità di tali dichiarazioni ho compreso che non c’era nessuna volontà di collaborare.

Un esempio?

Le parlo di un caso concreto: quando vengono sentiti i responsabili del Sismi in Somalia e mi dicono che loro non sanno nulla di un Paese di cui da un secolo l’Italia forma la classe dirigente… E il responsabile del Sismi che sostiene di non avere rapporti con Giancarlo Marocchino – il personaggio italiano più importante che c’era a Mogadiscio – perché non era persona «specchiata»… Mi chiedo cosa ci faccia un servizio! Un servizio per definizione deve avere rapporti sia con persone specchiate che con quelle meno specchiate, perché se non ti poni in contatto con le persone meno specchiate… E queste sono risposte fornite davanti alla Commissione parlamentare. E allora che ci stai a fare a dirigere un servizio in un sito strategico? Una risposta del genere a me sembra fatta per prendere in giro la Commissione. Credo che se ti rapporti con le suore Orsoline certamente ne avrai un miglioramento spirituale, ma sulle nefandezze che capitano dubito che verrai a saperne qualcosa.

Come se ci fossero altri interessi?

Io non lo so, certo è una risposta che a me pare insultante. Piaccia o no, è una Commissione parlamentare con i poteri dell’autorità giudiziaria. Credo che adesso, a vent’anni dall’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, a trenta dalla “malacooperazione”, sia bene che i fatti storici vengano fuori. Nel caso di Ilaria Alpi e dei traffici con la Somalia a me pare che i servizi abbiano detto: «Accertatelo voi. Noi facciamo altro». Lo faranno nell’interesse nazionale, certo. Io non sto a discutere, non conosco le loro carte. Ma di sicuro su quello su cui sono stati interpellati è impensabile che non sapessero.

Si ricorda figure di agenti dei servizi nella sua indagine?

Dagli atti che noi abbiamo dato alle Commissioni emergevano benissimo i riferimenti. Addirittura in qualche caso abbiamo trasmesso anche i colloqui che qualcuno di questi soggetti aveva con esponenti dell’opposizione somala in Italia.

Se dovessero emergere novità dai documenti desecretati, le indagini sul caso Alpi potrebbero riaprirsi?

Certo. Oltretutto l’omicidio è imprescrittibile, quindi il procedimento si può sempre riaprire. Ma la competenza sarebbe della procura di Roma, non di Asti. Per tutti gli altri profili legati ai traffici, credo che ormai qualsiasi notizia sarebbe utile a una ricostruzione storico-politica perché non vedo possibilità di riaprire le indagini sui traffici di rifiuti, ormai i reati sono prescritti. Invece nel caso dell’omicidio si possono e si devono riaprire. Non solo se emergono responsabili diversi rispetto a quello o a quelli individuati, ma anche a livello di correità.