Questa è una libera trascrizione del workshop che Paolo Benvenuti e Paola Baroni hanno tenuto a un gruppo di studenti a Locarno in occasione della manifestazione L’immagine e la parola. Si tratta del racconto appassionato, colloquiale ma anche molto colto e documentato, della ricerca su un loro progetto di film: Il segreto di Caravaggio, presentato dopo avere mostrato il loro modo di lavorare cinematograficamente. La storia del film ruota attorno al soggiorno di Caravaggio a Siracusa e alla realizzazione del quadro Il seppellimento di santa Lucia, e si raccontano vicende molto interessanti. Si tratta di un progetto, perché al momento il film non è ancora stato realizzato per motivi economico-produttivi. Dice Paolo Benvenuti è “interessante sottolineare il fatto che il Ministero dei Beni Culturali, al quale avevamo presentato il progetto, lo ha ritenuto ‘poco interessante’ e, di fatto, lo ha bocciato. Facendoci perdere così un finanziamento 200.000 euro della Film Commission della Regione Sicilia che, invece, lo aveva classificato primo tra i progetti di film da realizzare nell’isola. Altra cosa: il progetto su Caravaggio è stato attualmente selezionato, con altri diciannove progetti italiani, come tra i più interessanti da presentare al mercato internazionale della prossima edizione del Festival di Roma”. Sperando di vedere queste parole trasformate in film questo è il racconto.

LA RICERCA

A livello artistico nel medio evo era tutto a misura d’uomo. A livello creativo tutto era calcolato in funzione dello spazio vitale per l’uomo. L’uomo era al centro e padrone dello spazio. Con la rivoluzione copernicana tutto questo salta. Dal momento in cui la terra non è più il centro dell’universo gli intellettuali dell’epoca cominciano a capire che Cartesio non aveva tutti i torti, la concezione che vedeva l’uomo al centro dell’universo salta. Nella storia dell’arte il primo a cogliere questa rivoluzione è proprio Caravaggio. Caravaggio va alla ricerca di nuovi parametri spaziali, pur rimanendo ancora legato ai parametri della composizione. La complessità delle sue opere aumenta col passare degli anni. Prendiamo l’Ecce homo, quadro molto interessante, c’è Pilato che mostra il Cristo e dice ecco l’uomo, ma Pilato è vestito con abiti moderni dell’epoca caravaggesca, Mentre gli altri, grossomodo, potrebbero anche essere personaggi dell’antichità Pilato no, è un contemporaneo. E il volto di Pilato non è un volto ideale, è come se Caravaggio avesse avuto in testa un modello preciso. Allora, anche per far capire a volte come funziona la nostra ricerca, ci siamo messi a cercare nelle immagini dell’epoca qualcuno che gli potesse assomigliare.

Ricercando abbiamo scoperto che Caravaggio, alla fine del ‘500, frequenta a Roma la casa del cardinal Francesco Maria Del Monte, protettore di Caravaggio e scienziato insieme al fratello Guidubaldo. E lì Caravaggio entra in contatto con le più alte teste pensanti dell’epoca. Tra gli altri c’è anche un giovane pittore Ottavio Leoni che fa il ritratto a Caravaggio e al cardinal Del Monte.

Il cardinale chiede a Caravaggio di affrescare il soffitto del suo laboratorio dove faceva esperimenti di ottica, di chimica, oggi è nel villino Lodovisi a Roma. Ci sono tre figure allegoriche Nettuno, Plutone e Giove che sostengono una grande lente attraverso la quale si vedono le costellazioni, cioè rappresentava il fatto che il rapporto con lo spazio era stato messo in discussione e che occorreva usare strumenti ottici per poter capire veramente cosa succede nello spazio. In quel momento si sta sviluppando in tutta Europa un discorso sulle ottiche per cui si cominciano a costruire i cannocchiali.

Bisogna però pensare che questo affresco fu dipinto 14 anni prima che Galileo presentasse al mondo il suo cannocchiale. E Galileo era amico del cardinal Del Monte e di suo fratello, anzi Galileo è diventato professore all’università di Padova grazie a una raccomandazione del cardinale. Quindi Caravaggio e Galileo frequentavano la stessa casa. Infatti Ottavio Leoni ritrae anche Galileo. Ora se ruotiamo il ritratto di Galileo del Leoni e lo confrontiamo con il Pilato di Caravaggio… (appaiono praticamente identici ndr).

Ora, i ritratti di Leoni sono di un realismo impressionante, sembrano fotografie. Nello stesso periodo oltre allo sviluppo dell’ottica e delle lenti c’è un utilizzo altrettanto impressionante della camera oscura nella pittura. Pochi anni prima uno scienziato, Della Porta, ha scritto un libro, bestseller dell’epoca, tradotto in varie lingue, che si chiama Magia Naturalis, in cui si parla del funzionamento della camera oscura, di come si possano fare ritratti semplicemente proiettando sul foglio l’immagine con un sistema di lenti e di specchi.

Da questo abbiamo cominciato a sospettare che Caravaggio utilizzasse la camera oscura. Ora bisogna dire che Caravaggio lavorava come un regista, andava in giro a scegliere le facce degli attori che gli servivano. C’è un episodio famoso, quando fu incaricato di fare la serie di quadri per san Luigi dei francesi a Roma con la storia di san Matteo, nella prima versione con l’angelo che detta il Vangelo a san Matteo, lui aveva preso a modello il mendicante che normalmente stava sui gradini della chiesa chiedendo l’elemosina.

Lui prende questo poveraccio e lo usa come modello per san Matteo. Mettono il quadro sull’altare, la gente entrava e prima vede il mendicante sulla porta senza degnarlo di uno sguardo, poi in chiesa lo trova sull’altare e questo crea uno scandalo incredibile. Quindi il quadro è stato tolto, rifiutato e poi è andato perduto mentre Caravaggio dovette farne un altro. Cercava e usava facce come attori, li vestiva coi costumi per la scena che intendeva rappresentare gli insegnava il ruolo, gli dava le espressioni come per gli attori, li piazzava in una posa precisa in una stanza abbastanza buia e poi attraverso un sistema di specchi proiettava la luce del sole illuminando queste figure in modo straordinario e lui così le dipingeva. Lui così non poteva dipingere gruppi di figure, li dipingeva una dopo l’altra.

Creava lo sfondo poi proiettando i modelli uno dopo l’altro costruiva la drammaturgia della scena. Ora con l’esame radiografico del Seppellimento di Santa Lucia, custodito a Siracusa, è stato possibile vedere che alcune figure, poi coperte dalle altre, sono state comunque dipinte dalla testa ai piedi. Prima veniva cucita insieme la tela, tre metri per quattro. Una volta montata Caravaggio faceva l’imprimitura.

Santa Lucia era una santa siracusana, uccisa in epoca romana e sepolta nelle catacombe di Siracusa, e Caravaggio dipinge proprio questo momento. Prima prende la terra dove la santa era sepolta, la amalgama con della colla e poi la usa come base per la sua tela. Perché il corpo non c’era più. Portata via da Siracusa era finita a Costantinopoli, poi a Venezia, dove si trova ora, per cui a Siracusa c’era solo la fossa diventata luogo di culto e lui lì comincia per costruire il suo progetto creativo.

Lo scenario di fondo è visibile tuttora nei sotterranei di Siracusa, anche se non era quello il luogo della tomba. Il primo personaggio che dipinge è un autoritratto che tiene in mano una stecca e indica la fonte di luce (la stecca è un’unità di misura, la canna, che veniva usata all’epoca in Sicilia. Anche il secondo è un autoritratto poi via via aggiunge tutti i personaggi. Caravaggio aveva saputo che Santa Lucia era stata decapitata e lui rappresenta il corpo di Lucia decapitato con mani pietose che hanno riavvicinato la testa al collo. Poi c’è il potere temporale e quello della chiesa. A questo punto il quadro sembra finito.

Ma la radiografia ci ha mostrato due importanti ripensamenti. Il pastorale del vescovo che viene voltato e il pentimento della gola tagliata. Ora osservando la struttura del quadro si può notare che la parte inferiore è piena di figure mentre la parte superiore è praticamente vuota, una concezione originale perché si tratta di un quadro verticale in cui l’azione si svolge in senso orizzontale. Poi c’è un’idea di fuori campo, la gamba del personaggio che va fuori dal quadro è cinematografica. Il rapporto delle distanza e del punto di vista va oltre la composizione perfettamente centrata dell’epoca precedente perché l’azione drammatica è comunque perfettamente rappresentata. Ora i microorganismi della terra usata come sfondo hanno continuato a “mangiare” il quadro, che infatti è uno dei più rovinati di Caravaggio. Vedendo però le copie si è potuta notare una porta, ora invisibile sull’originale, (qui Benvenuti fa l’analisi strutturale del dipinto arrivando a tracciare solo le linee guida, togliendo la rappresentazione e alla fine si ha praticamente un quadro astratto moderno ndr).

Ora il quadro ha però un’incisione, uno strappo, fatto con la punta di legno del pennello che corrisponde esattamente alla schiena ricurva del becchino. Perché questa incisione? Gli studiosi di Caravaggio per autenticarli devono trovare tre elementi fondamentali, tipici della sua pittura, in qualche modo la firma, rinvenibili anche con la radiografia. Primo elemento: la mancanza di un disegno sottostante, non c’era disegna preparatorio, lui dipingeva direttamente sulla tela. Secondo elemento: pentimenti in corso d’opera, continui nell’opera di Caravaggio.

Terzo elemento: le incisioni che appaiono misteriosamente intorno a alcune figure, non sempre, ma tutti gli storici dell’arte, pur senza darne spiegazione, lo hanno evidenziato come caratteristica.

Analizzando tutti i quadri di Caravaggio, circa 70, ci siamo accorti che queste incisioni sono tutte riferite a figure che hanno posture scomode. Quel personaggio del fossore, del becchino, stando così per ore a un certo punto avrà avuto mal di schiena e dopo un po’ si è alzato allora Caravaggio, avendo il problema della proiezione della camera oscura sulla tela, se quello si muoveva saltava tutto.

Allora prima che quello si muovesse segnava il punto sulla tela per poterlo poi posizionare di nuovo allo stesso modo avendo un riferimento. Tutte le incisioni sono relative a persone che si muovono a figure che non stanno ferme quindi aveva bisogno di riferimenti sulla tela per proiettare di nuovo la figura.

Fino al 1425 i ritratti non erano realistici. Poi succede qualcosa, è intervenuto uno strumento, la camera oscura o camera ottica, che consente di leggere con maggior precisione la realtà delle figure. Aristotele già la descrive nel IV secolo avanti cristo perché è un fenomeno naturale: è un buco in una stanza buia. Lo scienziato arabo Alhazen nell’XI secolo ci fa già un sacco di esperimenti, ne parla e ne scrive. poi se ne occupa Bacone, passando anche per Leonardo si arriva al ‘500 con Giovanni della Porta. Quando Caravaggio arriva a usarla la camera oscura ha già raggiunto un discreto livello di raffinatezza.

IL PROGETTO DI FILM

La nostra sceneggiatura è fatta solo di immagini. Siamo riusciti a fotografare luoghi e ambienti in cui rappresentare la vicenda. Caravaggio arriva in Sicilia, si ferma due mesi a Siracusa e realizza il quadro. Come riesce a dipingere questo quadro? Riesce perché a Siracusa vive un suo carissimo amico conosciuto a Roma, Mario Minniti, il quale sapendolo in fuga perché dopo avere ucciso una persona a Roma ha dovuto scappare, poi è andato a Malta, e anche da lì scappa perché se no finisce in galera e arriva in Sicilia.

Trova il suo amico che per aiutarlo gli ha trovato un lavoro, il quadro del Seppellimento di Santa Lucia. Caravaggio sarebbe disposto ma obietta che non ha gli strumenti, le ottiche, le lenti. Minniti lo invita a non preoccuparsi perché lì c’è uno scienziato e archeologo, Vincenzo Mirabella, il quale si occupa anche degli specchi ustori di Archimede e gli dice che a casa di Mirabella potrà trovare tutto l’occorrente. Infatti Caravaggio arriva al palazzo di Mirabella, parlano del progetto e Mirabella lo porta a visitare la città, tutti i luoghi canonici, poi lo porta dentro le latomie, enormi cave di pietra che serviva per costruire la città.

Entrano in quella che si chiama ancora oggi l’orecchio di Dioniso perché Caravaggio fu così impressionato che la battezzò così. Il dittatore Dionisio qui rinchiudeva gli oppositori e grazie all’acustica particolare del luogo un piccolo buco permetteva al secondino di ascoltare quanto veniva detto dai prigionieri. Da lì si entra in un mondo sotterraneo straordinario dove vivevano i primi cristiani. Caravaggio visita anche il luogo dove era stata sepolta la santa e lì vicino la cappella dove la santa si fermava a pregare, ma non lo soddisfano.

Uscendo vede un cortile interno di un fortino, all’ombra, e cercando un luogo con un contrasto forte tra luce e ombra decide che lì dipingerà il quadro. Chiede allora gli venga dato per un paio di mesi per abitarci e per dipingere. E’ vicino al mare, isolato dalla città e lui lì si sente rassicurato. Poi torna a casa di Mirabella perché ha bisogno di lenti e specchi e quello gli concede gli strumenti. Allora torna nel fortino, studia la posizione del sole per capire come si muove sopra il cortile e lì decide di realizzare il suo progetto.

Lì costruisce il telaio, tira le linee preparatorie con materiali luminescenti, a base di lucciole e meduse, perché poi in camera oscura gli serviranno come riferimenti visibili per appoggiarci le figure. Creata la base ha bisogno di costruire la sua camera oscura con una serie di accorgimenti a base di lenti, specchi, rotazioni e addirittura l’utilizzo del principio della gorgera, il colletto a fisarmonica usato da Mirabella. Poi c’è anche il suo lavoro sui sali d’argento per rendere fotosensibile la tela, poi con la biacca invertiva, là dove c’era scuro metteva il chiaro e viceversa e dove era grigio faceva i mezzi toni. Attraverso la pittura passava quindi da un’immagine negativa a un’immagine positiva in bianco e nero, su quella poteva poi tranquillamente lavorare alla colorazione.

Ma visto che il cinema non è solo riscostruzione, ma possiede anche una sua poetica, abbiamo pensato che Caravaggio andando in Sicilia, lui uomo del Nord dell’Italia, incontra una cultura diversa, la cultura araba, fortissima in quel momento c’è un elemento molto forte nel racconto sin dall’inizio, un elemento musicale.

Quando il sole tramonta e lui non può più lavorare, sente una musica lontana che lo colpisce perché completamente diversa da quelle che lui conosce e incuriosito la va a cercare, di notte, rischiando perché è comunque ricercato, sogna anche il quadro che non è il suo, ma c’è la santa decapitata e un ragazzino che guarda.

Dopo molti tentennamenti nella zona araba trova dei suonatori che accompagnano una donna che danza, lui ha un incontro con lei che non comunica con la parola ma a livello di emozioni. Lui è colpito, vive una notte d’amore con questa donna, il mattino dopo la porta al fortino per farle vedere il quadro. Lei rimane soggiogata dalla forza del quadro, ma rimane scioccata dal taglio della gola di Lucia, e senza parlare si avvicina al quadro e con la mano copre questa ferita. E Caravaggio da quel gesto capisce che quella ferita è troppo violenta.