Diciotto mesi per le riforme costituzionali: il conto alla rovescia è impostato, ma per farlo partire bisognerà che passi l’estate e anche un bel po’ dell’autunno. Ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il testo del disegno di legge costituzionale che punta a sostituire la procedura semplice e rigorosa prevista dall’articolo 138 con un meccanismo complesso che si vorrebbe più rapido. Il primo risultato è però la stasi: le commissioni affari costituzionali di camera e senato, che avrebbero potuto cominciare a lavorare sui testi di riforma costituzionale, aspetteranno la fine di ottobre quando, approvata (si augura il governo) la legge licenziata ieri, entrerà in funzione il «comitato dei 40», deputati e senatori che finalmente potranno cominciare a occuparsi del merito delle riforme: forma di governo, bicameralismo, autonomia. Nel frattempo il confronto è delegato ai «saggi» – 35 professori più 7, al lavoro sulle ipotesi di riforme da consigliare al governo; ieri sono stati ricevuti al Quirinale e cominceranno a vedersi a Roma alla fine della prossima settimana – destinati a distrarre l’attenzione del parlamento per tutta la lunga fase preparatoria: cinque mesi. Dopo di che si comincia a correre.

Il comitato dei 40 avrà solo quattro mesi di tempo per chiudere il lavoro referente sui testi: se per fine febbraio non saranno pronti il ddl costituzionale prevede che passino comunque alle aule. C’è però un problema preliminare: la composizione di questo comitato. Il Pd vuole far valere la stazza del suo gruppone alla camera, ingrassato dal Porcellum. Il Pdl vuole invece il rispetto del sostanziale pareggio nei numeri assoluti delle urne. Il governo non ha scelto, ha scritto che devono essere rispettati entrambi i criteri (che però sono opposti) in più ne ha aggiunti altri due: almeno un rappresentate per gruppo e almeno uno delle minoranze linguistiche. Non sarà facile, tanto che la stessa legge mette le mani avanti: «La prima riunione del Comitato ha luogo non oltre i 30 giorni successivi» all’approvazione del ddl costituzionale. Un mese, lo riconoscono, rischia di andare perso solo per partire.

In appena tre mesi, invece, l’aula della camera (o del senato) dovranno approvare tutti i testi prodotti dal comitato. È davvero una previsione azzardata, considerando che il parlamento non lavorerà solo sulle riforme e che a ogni parlamentare sarà concesso emendare i testi (sub-emendare invece no, la facoltà è stata riservata solo ai presidenti di gruppo). Il «crono programma» procede tagliando da tre mesi a uno la pausa tra le prime e le seconde deliberazioni (mossa che si poteva evitare facendo lavorare le camere in parallelo su testi differenti) e fissa il termine ultimo di tutto il processo riformatore a ottobre 2014. Per farlo deve dare per scontato che il senato (o la camera) approvino i testi senza nessuna variazione rispetto all’altro ramo del parlamento, altrimenti si torna indietro e salta tutto il calendario.

Ma ha davvero senso tanta fretta? Nel corso del Consiglio dei ministri hanno provato a frenare Emma Bonino e Andrea Orlando, ottenendo però solo una minima variazione: le opposizioni potranno sollevare questioni pregiudiziali almeno in aula (per il comitato invece è rimasto il divieto). Il ministro Franceschini ha però aggiunto da parte del governo la richiesta della procedura d’urgenza per questo primo ddl costituzionale. Peccato però che il regolamento della camera (art. 69 comma 3) lo escluda per le leggi costituzionali.

Alla fine di tutto ci saranno i referendum confermativi (basteranno i deputati M5S e Sel per chiederli), qualsiasi sia il quorum con cui i testi saranno approvati dalle camere. Non per questa prima legge, però, a meno che il governo che è così orgoglioso di aver spalancato la porta ai referendum non chieda alla sua maggioranza di contenere gli entusiasmi sotto la soglia dei due terzi. Si potrebbe così vedere se i cittadini condividono questa ansia ri-costituente.