Nel decreto legge sulle emergenze ambientali e industriali approvato ieri dal Consiglio dei ministri, oltre alle norme per la Terra dei fuochi, una fetta rilevante riguarda le «disposizioni urgenti per la tutela dell’ambiente, del lavoro e per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale». Più semplicemente, si tratta dell’ennesimo intervento dello Stato nell’intricata vicenda dell’Ilva di Taranto. Al testo hanno lavorato alacremente nelle ultime settimane i tecnici dei ministeri Ambiente e Sviluppo economico, sotto la supervisione dei commissari Ilva, Enrico Bondi ed Edo Ronchi. Che da tempo lamentano l’impossibilità di procedere nel loro compito per via delle lungaggini burocratiche e della mancanza di liquidità a fronte dei tanti interventi da effettuare sugli impianti dell’area a caldo del siderurgico, previsti dall’Aia (l’autorizzazione integrata ambientale).

Non è un caso dunque, che la questione delle risorse sia al primo punto del nuovo decreto. Il testo prevede che dopo l’approvazione del piano industriale e del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, «il titolare dell’impresa o il socio di maggioranza» è obbligato a mettere a disposizione del commissario straordinario le somme necessarie agli interventi di risanamento, entro e non oltre 15 giorni dal ricevimento della diffida, «mediante trasferimento su un conto intestato all’azienda commissariata». Il titolare dell’impresa o socio di maggioranza, in questo caso, è sempre il gruppo Riva. A cui però proprio il governo ha sottratto la gestione della fabbrica, commissariandola, a fronte della totale inadempienza nell’attuazione dell’Aia. È dunque pressoché scontato che quei soldi non arriveranno mai dal gruppo lombardo. Cosa che il governo sa molto bene. Tanto da aggiungere nel testo che «ove il titolare dell’impresa o socio di maggioranza non metta a disposizione del commissario straordinario, in tutto o in parte, le somme necessarie», al commissario straordinario saranno trasferite, previa richiesta, le somme sottoposte a sequestro penale in relazione ai procedimenti penali a carico del titolare dell’impresa o del socio di maggioranza, «diversi da quelli per reati ambientali o connessi all’attuazione dell’Aia». È sicuramente significativo questo passaggio: in pratica, per evitare un nuovo scontro frontale con la magistratura tarantina, il governo guarda a Milano, dove la Guardia di Finanza nei mesi scorsi ha sequestrato 1,9 miliardi di euro al gruppo Riva nell’ambito dell’inchiesta portata avanti dalla procura milanese per frode fiscale. Risorse che al momento si trovano nel Fondo unico della giustizia. In caso di eventuale proscioglimento, il gruppo Riva non potrà comunque richiedere indietro le somme sequestrate, in quanto il decreto prevede che le somme impiegate per l’attuazione dell’Aia «non saranno comunque restituibili».

Nel testo trova inoltre spazio la spinosa questione delle sanzioni previste dalla legge 231/2012 e riprese dalla 89/2013, per la non attuazione delle prescrizioni dell’Aia. Ed è questo il punto più delicato e ambiguo del nuovo decreto. Il testo prevede infatti che non ci sarà alcuna sanzione «per atti o comportamenti imputabili alla gestione commissariale dell’Ilva» se saranno rispettate le prescrizioni dei piani ambientale e industriale, nonché la progressiva attuazione dell’Aia. Inoltre, le sanzioni riferite ad atti imputabili alla gestione precedente al commissariamento, ricadranno sulle «persone fisiche che abbiano posto in essere gli atti o comportamenti», sempre i Riva, e non saranno poste a carico dell’impresa commissariata «per tutta la durata del commissariamento». Dunque, nel caso l’azienda ritorni al gruppo lombardo, saranno loro a farsene carico. Infine, semplificate le procedure di Via (valutazione di impatto ambientale) sulle modalità di bonifica e di combinazione tra norme urbanistiche in vigore e opere da realizzare. Il testo, che ora arriverà in Aula, è già norma.