Volti di Palmira ad Aquileia (fino al 3 ottobre al Museo Archeologico Nazionale) è la prima mostra post distruzioni dedicata in Europa alla celebre città carovaniera, patrimonio dell’umanità dal 1980.
La rassegna è la terza tappa del ciclo ‘Archeologia Ferita’ promosso dalla Fondazione Aquileia di concerto con il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia e rivolto a siti e musei colpiti dal fondamentalismo islamico. Dopo i tesori «africani» del Bardo di Tunisi e gli sfolgoranti leoni persiani da Teheran, giungono ad Aquileia le anime pietrificate degli antichi palmireni. A cura di Marta Novello e Cristiano Tiussi, l’esposizione riunisce sedici rilievi sepolcrali provenienti da Palmira ma dispersi tra collezioni pubbliche e private. Rilievi come questi – classe di reperti che ha contribuito alla fama di Palmira – li abbiamo visti, deturpati, nel caos che ha inghiottito il museo di Tadmor durante l’occupazione dei soldati del Califfo al-Baghdadi. Molti sono sfortunatamente scomparsi nelle maglie del mercato nero. Affiancano i pezzi siriani otto stele aquileiesi, in un dialogo senza confini messo in scena dallo studio mod.Land di Gorizia.
Vivaci e cosmopoliti crocevia con vocazione agli scambi, Palmira e Aquileia s’incontrano dunque in uno spazio allo stesso tempo reale e immaginario. «Sia Palmira che Aquileia erano luoghi di tolleranza e fruttuosa convivenza tra culture e religioni diverse, oltre che testimoni del fatto che diciotto secoli fa il Mediterraneo costituiva un’unità integrata non solo dal punto di vista dei commerci, ma anche di quello della circolazione delle idee e di canoni artistici e narrativi», scrivono nella premessa al catalogo (Gangemi Editore) Antonio Zanardi Landi e Cristiano Tiussi. Tali affinità possono ricercarsi – seppur nella distanza geografica e stilistico-formale – in un medesimo desiderio di rappresentazione del sé. Diffusi in tutto l’Impero romano i ritratti funerari testimoniano lo status del defunto e divengono, paradossalmente, la porta d’accesso al mondo dei vivi. Ciò è vero specialmente per Palmira, dove gran parte dei monumenti pubblici, civili e religiosi sono stati indagati mentre la sfera privata resta da approfondire. Le opere presentate ad Aquileia – originariamente collocate all’interno delle torri funerarie, degli ipogei o dei cosiddetti edifici a tempio – aprono uno squarcio nelle memorie della «Sposa del deserto», restituendoci un’apparenza che si fa intimità. Dalla penombra di un’ampia vetrina sorge il busto – donato da Federico Zeri ai Musei Vaticani – di una figura femminile. In posizione frontale, la donna è cinta da una tunica. Un velo bordato da una corta frangia poggia sulle spalle e, portato all’indietro, scende sino al petto. Il collo è impreziosito da due collane, la prima formata da grani sferoidali e la seconda, lievemente più lunga, terminante con una bulla a disco. I bracciali a tortiglione che avvolgono entrambi i polsi nonché i tre anelli e i quattro orecchini – due per orecchio – esaltano la condizione sociale della defunta, che fissa il visitatore con l’attitudine serafica di un buddha. Caratteristica dell’élite palmirena della seconda metà del II secolo d.C. anche l’acconciatura «a melone».
L’enorme quantità di ritratti femminili rinvenuti nelle necropoli dell’oasi aramaica dimostra che le donne vi rivestivano un ruolo significativo. A partire dal secondo secolo inoltrato, l’ostentazione di abiti e accessori sofisticati sottolinea il potere di queste matrone del deserto, attratte da mode occidentali. Nella testa in prestito dal Civico Museo Archeologico di Milano, un lussuoso diadema e un turbante arrotolato con arte incorniciano un viso poco aggraziato ma altero. Sopra i capelli ondulati s’insinua una catena composta da una serie di cabochons mentre gli orecchini sono del tipo a barretta con perle. È il «barocco orientale», che la scultura del Museo ‘Giovanni Barracco’ rende ancora più esplicito attraverso la grande fibula fissata al mantello e la ridondanza di collane. Da notare anche il pendente a forma di campana agganciato al massiccio bracciale a torciglione – un amuleto emblematico in Siria – e l’anello portato sulla falangina del mignolo. Lo sfoggio simultaneo di più collane è peculiare del costume di Palmira soprattutto nel III secolo d.C.
Fra i vari oggetti, la lastra concessa dal Museo delle Civiltà – Collezioni d’arte Orientale ‘Giuseppe Tucci’ si distingue per le tracce di policromia su calcare dorato. La figura femminile è qui associata a un fanciullo stante, di dimensioni minori e in posizione arretrata. La donna – Batmalkû figlia di Qirdâ – è vestita alla greca con chiton (tunica) e himation (mantello) e porta con disinvoltura numerosi gioielli di tradizione occidentale e orientale. Il giovinetto, invece, è agghindato alla moda partica con tunica al ginocchio, pantaloni a sbuffo e calzari. A questo rilievo fa da pendant la stele aquileiese di Aurelio Aplo (fine III secolo d.C.), nella quale il busto della madre tiene tra le mani quello del figlio. La rigidità della composizione, eseguita a scalpello, è molto lontana dal dinamismo e dalle «mollezze esotiche» dei ritratti palmireni, a cui tuttavia si apparenta per la resa idealistica delle fisionomie.
Più sobri ma ugualmente suggestivi i ritratti maschili proposti dalla rassegna. Corti riccioli, zigomi rilevati, barba e baffi, Šalamallat dal Terra Sancta Museum di Gerusalemme stringe fra le dita una schedula (foglio di papiro). Si tratta probabilmente di un commerciante o funzionario della pubblica amministrazione. Ben rappresentati in mostra anche i ritratti di sacerdoti, riconoscibili dal copricapo troncoconico (modius) sulla testa calva e dalla corona vegetale, simbolo dello status eroizzato del defunto. Secondo gli studiosi l’impiego del modius rimanda al culto del dio Bel, il cui imponente santuario – com’è risaputo – è stato raso al suolo dall’Isis a fine agosto del 2015. Ammantato dal silenzio dei secoli non perde fascino il piccolo monumento a edicola con ritratto di defunto da Aquileia. L’uomo indossa la tunica e il sagum, un corto mantello da viaggio, fermato sulla spalla destra da una vistosa fibula. La capigliatura è costituita da lunghe ciocche pettinate in avanti. Labbra carnose e fossette laterali, la scultura rimane impressa per la delicatezza dei tratti e l’intensità dello sguardo.
Volti di Palmira ad Aquileia è accompagnata, nello spazio della ‘Domus e Palazzo episcopale’ in piazza Capitolo, da una sezione denominata «Sguardi su Palmira»: si tratta di una serie di fotografie di Elio Ciol realizzate il 29 marzo 1996. La scelta del bianco e nero prediletta dal fotografo friulano costituisce quasi una rarità. Più spesso, a Palmira, si è preferito catturare le luci mozzafiato dell’alba e del tramonto, l’ocra del deserto e il tenue riflesso rosaceo delle colonne. La bicromia di Ciol lascia però stupefatti. La limpidezza delle forme architettoniche si staglia su un cielo notturno o appena coperto da nuvole mentre l’immensità della storia si dispiega negli scatti panoramici che immortalano le rovine dalla fortezza islamica di Qalaat Ibn-Maan o la Valle delle Tombe. Paesaggi ora sfregiati, amputati, cancellati dalla furia dei jihadisti. La Venezia delle sabbie come non la vedremo mai più ci commuove nell’onirica compostezza del ricordo.