«Il racconto epico della Grande migrazione afroamericana: sessant’anni di durata (1915- ‘70), sei milioni di neri che abbandonano il Sud degli Usa per trasferirsi soprattutto nel Nordest e Nordovest del paese, dalle campagne alle città, da una vita senza speranza al sogno di un arduo riscatto. Di questo, e di molto altro, narrano le cinquecento pagine di Al calore di soli lontani (il Saggiatore, euro 14,90) della studiosa, giornalista e docente universitaria Isabel Wilkerson. Nel 1994 l’autrice, oggi cinquantaduenne, vinse il premio Pulitzer per gli articoli pubblicati sul «New York Times»; è docente di giornalismo alla Boston University. Ben quindici anni di ricerche, studio e scrittura le ci sono voluti per un’opera epica e monumentale (prima edizione Usa nel 2010) che unisce il rigore della documentazione alla capacità della narrazione e al calore della testimonianza. Pur se diverse, e distanti, Toni Morrison ed Isabel Wilkerson sembrano parlare la stessa lingua: l’una sul fronte della narrativa, l’altra su quello della storia.

Il titolo, magnifico, è ispirato da alcuni versi di Richard Wright e ben sintetizza la speranza ed il coraggio celati nell’enorme «diaspora interna» che vide i Neroamericani spostarsi all’interno degli Usa a partire dal 1915. «La Grande migrazione fu un punto di svolta nella storia del paese. Trasformò l’America urbana – afferma l’autrice – e riplasmò l’ordine sociale e politico di tutte le città che sfiorò (…) La Migrazione nacque dalle promesse mancate della Guerra di secessione e con tutto il suo peso esercitò una spinta decisiva per la rivoluzione dei diritti civili negli anni sessanta» (p.18). Chiunque si interessi degli Usa e in qualsiasi ambito (da quello economico a quello musicale) dovrebbe leggere questo testo che davvero rivela i meccanismi profondi di una trasformazione di cui, spesso, si vedono solo gli esiti e non le travagliate radici.

Il volume si snoda in cinque parti più un epilogo.: «Nella terra degli avi»; «Gli inizi»; «L’esodo»; «L’amante più gentile»; «L’indomani». Come molte forme della cultura afroamericana ha un andamento storico-esistenziale circolare (più che lineare): inizia con la partenza di Ida Mae dalla contea di Cickasaw nell’ottobre 1937 e si conclude con il suo ritorno nel Mississippi da Chicago nell’ottobre 1998, sessantuno anno dopo la sua migrazione. Da essa, racconta e ricostruisce la Wilkerson, «nacquero persone che non sarebbero esistite o avrebbero preso un’altra strada: James Baldwin e Michelle Obama, Miles Davis e Toni Morrison, Spike Lee e Denzel Washington (…) dall’esodo nacquero anche il linguaggio e la musica dell’America urbana, figlia dei blues portati dagli emigranti e capace di dominare ancora oggi le frequenze radiofoniche»» (p.19). Senza la migrazione il fiore del jazz, musica cittadina per eccellenza, non sarebbe mai sbocciato.

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