Gli Eretici che danno il titolo all’ultimo romanzo dello scrittore cubano Leonardo Padura (Bompiani, pp, 660, euro 22, euro 22, traduzione di Sara Cavarero e Stefania Marinon), sono tutti coloro che mettono in gioco se stessi e la propria identità in nome di un bene superiore, «il libero arbitrio», la libertà di movimento, di pensiero, d’azione. Ciò che, spiega a Torino l’autore che è uno dei più noti dell’isola caraibica, «manca ancora a Cuba e non potrà che accompagnare le aperture e le riforme di cui si parla tanto oggi».

Pur costruito come una nuova indagine di Mario Conde, l’investigatore dell’Avana che trasformato Padura in uno nei più noti giallisti dell’America Latina – al Salone di Torino, lo scrittore cubano e il suo personaggio sono stati protagonisti di una serata insieme al greco Petros Markaris e al suo commissario Charitos -, Eretici è per certi versi più un romanzo storico che un poliziesco classico.
Tre vicende si intersecano tra l’Europa e Cuba, descrivendo una traiettoria che dall’Olanda del XVII secolo passa per l’Avana della fine degli anni Trenta per approdare infine ai giorni nostri. La ricerca di una misteriosa e per certi versi profetica tela di Rembrandt scandisce l’indagine condotta come sempre con una piacevole dose di indolenza da uno scettico Mario Conde.

Al centro del romanzo c’è però prima di tutto un fatto storico che nella stessa isola di Cuba è stato, come racconta Padura, per lungo tempo dimenticato: la fuga di novecento ebrei tedeschi che nel 1939 cercarono invano rifugio all’Avana dove erano giunti a bordo della nave S.S. Saint Louis. Invano, perché all’epoca – e si tratta di una storia che non può che tornare di drammatica attualità di fronte a quanto accade oggi nel Mediterraneo -, coloro che fuggivano dalla Germania nazista, e su cui incombevano le persecuzioni già ampiamente annunciate dal regime hitleriano, si videro opporre un rifiuto di sbarco sia a Cuba che negli Stati Uniti.
Al tempo, le autorità di Washington – che controllavano anche il corrotto regime cubano di Federico Laredo Brù, poi defenestrato da Fulgencio Batista – ritenevano che salvare gli ebrei potesse avere effetti controproducenti nel loro paese, data la grande diffusione dell’antisemitismo anche tra gli americani.

Costretta a fare nuovamente rotta verso l’Europa, la Saint Louis avrebbe consentito ai suoi ospiti di rifugiarsi in Francia, Belgio e Olanda: era però ormai troppo tardi, visto che la guerra era iniziata e l’invasione tedesca di quei paesi condurrà molti di coloro che avevano immaginato di salvarsi rifugiandosi dall’altra parte dell’oceano verso la morte, nei campi di sterminio nazisti.
Ripercorrendo la vicenda del piccolo Daniel Kaminsky, un bambino ebreo che aveva già trovato ospitalità a Cuba e che avrebbe atteso invano l’arrivo dei suoi genitori, poi morti ad Auschwitz, con quella nave, Leonardo Padura ci racconta della piccola comunità ebraica dell’Avana, che avrebbe lasciato il paese solo alcuni anni dopo la rivoluzione, e, più in là nel tempo, rintraccia nell’Amsterdam della metà del Seicento, quella di Spinoza, l’origine di una vicenda dove le radici, l’identità e la ricerca della libertà si intrecciano in modo indissolubile. Per lo stesso autore, il suo «è un romanzo che riguarda la Cuba che verrà».