Maschiette, jitterbugger, gioventù hitleriana, boy scout, sub-debuttanti, bright young thing inglesi, victory girl americane, ragazzi dello swing tedeschi e hobo in miniatura che saltano da un treno all’altro… Sono belli, giovani, sorridenti, trendissimi anche quando vestono brandelli, sempre in gruppo, sempre in movimento, paiono inarrestabili e sono così tanti che fanno quasi un po’ paura. Sono i teenagers. Quando non si chiamavano ancora così..

L’adolescenza tra il 1904 (iniziano allora a passare le prime leggi contro il lavoro minorile: tra l’infanzia e l’età adulta nasce una nuova fase della vita) e il 1945 ( l’immediato dopoguerra, quando la gioventù diventò un concetto di mercato) è il soggetto di Teenage Film, un documentario di Matt Wolf adattato da Teenage: The Creation of Youth Culture (2007) di Jon Savage.

Dalle ottocento e passa pagine del libro dello scrittore inglese (celebre per la sua storia del punk England’s Dreaming) il regista del documentario sul violoncellista/produttore Arthur Russell, trae una specie di cinesaggio, un nastro impressionistico di immagini che si guarda/sente come una bella canzone, di cui però, alla fine, non rimane molto. Il che non vuol dire che questa pre-storia (ci si ferma prima dell’apparizione di Elvis) della gioventù non abbia un certo fascino.

Tutto superfici e libere associazioni (fondamentale il lavoro del montatore Joe Beshenkovsky e quello della ricercatrice d’archivio Rosemary Rotondi), laddove il libro di Savage funzionava anche a livello antropologico, il film di Wolf è infatti più interessante per la sua struttura, e in quanto esperienza sensoriale, che per quello che dice rispetto alla demografia che celebra appassionatamente, e con una varietà straordinaria di immagini d’archivio poco viste. In Usa è uscito in alcuni cinema, ma Wolf ha dichiarato che lo vorrebbe proiettato anche in locali notturni o gallerie d’arte. Il che ha molto senso, e riflette le sempre più molteplici declinazioni del genere documentario.

Sullo sfondo delle immagini d’archivio, Wolf innesta una fitta serie di frammenti di narrazioni in prima persona – lettere, diari, dichiarazioni di programma che erano nel libro di Savage o che i due hanno scelto lavorando al canovaccio del film. Intessuti in questa contrapposizione tra testimonianza personale e l’anonimato luminoso, iperenergetico, dello stock footage, ci sono anche quattro personaggi emblematici – la dandy londinese drogata Brenda Dean Paul, la giovane hitleriana Melita Maschmann, il ribelle swing tedesco Tommie Scheel e un boy scout afroamericano, Warren Wall. Le voci sono di Jena Malone, Julia Hummer, Jessie Usher e Ben Wisham, ma nelle ricreazioni drammatiche, in grana grossa «amatoriale» a colori, di cui è punteggiato il film i quattro personaggi sono interpretati da attori diversi.

Il cinema sperimentale anni Sessanta che incontra YouTube.

Wolf ha affermato che questa struttura ibrida è ispirata al concetto di collage vivente coniato da Savage a proposito dell’estetica punk: «Il collage vivente è la filosofia creativa fondante di Teenage. Abbiamo riassemblato frammenti di cultura giovanile del passato per realizzare un lavoro di non fiction contemporanea. Cinegiornali d’epoca, filmini amatoriali, clip di lungometraggi e fotografie sono montati con ritratti di ragazzini eccezionali del passato ricreati oggi. A queste scene da home movie ho affidato l’interpretazione emozionale della storia».

È meno chiara, invece, l’affermazione che sta dietro a quelle emozioni – un link che vada al di là della qualità luminosa, ipercinetica della giovinezza per tenere insieme questa cavalcata nel tempo. «Teenage è una storia che finisce con un inizio: un preludio alla contemporanea cultura giovanile. In ogni generazione gli adulti spesso interpretano l’irrequietezza dei ragazzi come un semplice rito di passaggio emozionale. Ma la storia prova che le ribellioni dei teenagers non sono una rivendicazione di indipendenza, ma un modo di dar forma al futuro», afferma Wolf nel press book. Questa «tesi» però è il punto più debole del suo film che, a tratti, sembra una magnifica parata di ribelli fine a se stessa, senza un antagonista. Il che è un vero peccato.