Nell’anno dedicato al centenario della nascita di Alberto Burri (Castel Sant’Angelo, 1915) numerose iniziative hanno celebrato la figura dell’artista umbro. Mentre è in corso la più grande retrospettiva sull’opera di Burri al museo Guggenheim di New York – la mostra raggiungerà successivamente la Germania e l’Italia – l’atteso completamento del Grande Cretto a Gibellina è stato finalmente portato a termine, dopo la chiusura del cantiere già in maggio.
I lavori di completamento del Grande Cretto rappresentano solo una prima parte degli interventi sulla complessa opera di Burri. La seconda riguarda, infatti, la fase di restauro, attesa da anni, per cui sono stati stanziati i fondi necessari.

Quarant’anni dopo il terremoto del Belice, nel 2008, la Fondazione Orestiadi, il comune di Gibellina e il museo Riso avevano formalizzato un’intesa che aveva portato successivamente all’analisi dei materiali e dei fenomeni di degrado del Grande Cretto, in vista della sua possibile «cura». Mentre i problemi legati al completamento dell’opera potevano ritenersi collegati alla morfologia del terreno, secondo quella prima analisi, il restauro riguarderebbe soprattutto la rimozione degli elementi di degrado e di alterazione cromatica delle superfici.

Iniziata nel 1985 e interrotta già quattro anni dopo, nel 1989, l’impresa del Grande Cretto di Gibellina aveva ricoperto con una colata di cemento 66mila mq i resti della città fantasma. Il progetto originario dell’artista ne prevedeva invece 86mila.

Sebbene il progetto abbia incontrato non poche difficoltà, soprattutto in fase di approvazione e avvio dei lavori, le operazioni di completamento di quella enorme «installazione permanente» furono interrotte principalmente per motivi economici, legati alla produzione dell’opera, commissionata nel 1981 da Ludovico Corrao, allora sindaco di Gibellina (in gioventù, Corrao fu uno dei principali protagonisti dell’Operazione Milazzo, che negli anni Cinquanta consentì a un gruppo di disobbedienti della Dc di formare un governo cristiano-sociale in Sicilia).

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Numerosi artisti accettarono l’invito del sindaco e aderirono al progetto di fondazione della nuova Gibellina, che avrebbe incluso piazze, edifici e monumenti. Fu allora che anche Burri decise di intervenire e lo fece sui ruderi della vecchia città, inglobandone i resti nel cemento, seguendo il vecchio assetto urbano.
Ai tempi di quei tragici avvenimenti, nelle terre del Belice il cemento armato era «una lussuosa eccezione»: le abitazioni, che erano fatte di gesso, furono spazzate via dalla furia del terremoto.

Il «lenzuolo» che Burri realizzò è fatto proprio di cemento. Ha rivestito quell’area elevandola a un simbolo di resistenza. Oltretutto Gibellina era stata colpita dal terremoto negli stessi anni in cui la Sicilia già lottava per non divenire terra di rifugiati. Lì, dove fece molto anche Danilo Dolci, dopo la notte del 15 gennaio 1968, risuonarono le voci di Leonardo Sciascia – che, sulle pagine de L’Ora di Palermo, rivolse un anatema contro lo Stato italiano; e di colui che diresse lo stesso quotidiano per vent’anni, Vittorio Nisticò – «Se un miracolo ci dovrà essere sarà quello che noi stessi sapremo realizzare».

Dopo l’inivito a Burri, nel 1981, Mario Schifano realizzò nove grandi tele per il suo Ciclo della Natura nel 1984. Seguirono le opere di Pietro Consagra, Carla Accardi, Alessandro Mendini, Andrea Cascella, Mimmo Rotella, Franco Purini e Laura Thermes, Ludovico Quaroni, Francesco Venezia: il numero delle presenze artistiche a Gibellina dal terremoto in poi è imprecisabile. Anche Joseph Beuys visitò Gibellina nel 1981.

La notizia del completamento del Grande Cretto ci permette di riappropriarci dell’opera dell’artista che la concepì. Attraverso la scelta di eseguire un intervento su un’area dissestata molti anni prima da un grave sisma, Burri non restituì unicamente «quel bisogno di ricordi e di memoria per i futuri secoli», come scrisse Ludovico Corrao. La storia di quei luoghi ne ha fatto un cantiere a cielo aperto: un corpus di opere in progress per una «archeologia del futuro» (Riccardo Venturi).

Il Grande Cretto di Burri a Gibellina si arricchisce oggi di nuovi significati e di spunti: ne rinnova la memoria, gli intenti e i contenuti. Ci auguriamo diventi un simbolo di ricostruzione per tutte quelle aree che ancora attendono l’intervento dello Stato.